Articolo: ISPETTORATI DEL LAVORO: PROBLEMI E PROSPETTIVE

approfondimento di Eufranio Massi

La riflessione che segue vuol rappresentare un semplice contributo alla tematica che si sta sviluppando in questi giorni nel nostro Paese in materia di vigilanza e controlli sul lavoro: è un riflessione di chi ha operato per anni nelle articolazioni periferiche del Ministero e che ancora si occupa, ad ampio raggio, di tutto ciò che ruota intorno alle questioni del lavoro.

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro con le sedi periferiche che ha “ereditato” dal Dicastero, nasce, formalmente, dal primo gennaio di quest’anno, con l’obiettivo ambizioso e condiviso, anche perché sentito da chi opera nel settore, di giungere ad una maggiore razionalizzazione ed integrazione dei controlli in materia di lavoro, con un forte coordinamento degli ispettori del lavoro e di quelli degli Istituti previdenziali (l’assorbimento di questi  ultimi non è stato possibile per una serie di problemi “tecnici” e di resistenze trasversali).

Tutto questo, però, non si è verificato: anzi, una serie di adempimenti burocratici legati alla condivisione degli obiettivi mensili, hanno, di fatto,  rallentato l’operatività e, nella sostanza, in alcune realtà, hanno raggiunto un obiettivo opposto a quello sperato, essendosi “raffreddato” un rapporto che, nel corso degli anni, si era consolidato, di fatto, tra ispettori del lavoro ed addetti alla vigilanza degli Istituti previdenziali.

Ma, su questo quadro, sinteticamente descritto, si calano alcune questioni che, a mio avviso, se non risolte, rischiano di far diventare un pio  desiderio l’obiettivo che si voleva raggiungere con la creazione dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.

Comincio dall’alto.

Siamo veramente sicuri che, al di là, delle dichiarazioni di principio, buone per essere rilasciate alle agenzie di stampa per un trafiletto sui giornali del giorno successivo o per apparire sui “social media”, il livello politico abbia fatto di tutto per agevolare la nascita?

Dove sono le risorse (pur se tutto non deve comportare maggiori costi per l’erario pubblico)?

Dove sono gli interventi per far sì che le banche dati (nella maggior parte in possesso degli Istituti) siano condivise?

Dove sono le provviste economiche per gli ispettori del lavoro che rischiano di non percepire lo stesso premio di produttività e di vederselo, in gran parte, bloccato (con restituzione) anche per l’anno appena trascorso?

Perché non si fa in modo che il personale delle articolazioni periferiche, che mette a disposizione la propria auto per effettuare i controlli ispettivi (che, altrimenti, non potrebbero effettuarsi come può capire chiunque), possa ottenere il rimborso (non il guadagno) in tempi brevi e certi e, soprattutto, adeguato alle tariffe ACI, come si chiede ai datori di lavoro per i loro dipendenti allorquando si effettuano i controlli nelle aziende?

Come non comprendere che gli ispettori, non  coperti da assicurazione per danni provocati da terzi (ad esempio, “rigature” dell’automezzo o atti vandalici, cosa possibile a fronte di persone soggette a controlli), si debbono pagare in proprio i danni?

Perché non si pensa di adeguare il trattamento economico degli ispettori a quello dei dipendenti degli Istituti previdenziali che svolgono gli stessi compiti e che, per effetto delle normative introdotte, hanno anche acquisito il titolo di Ufficiali di Polizia Giudiziaria, prerogativa prima riservata ai soli ispettori delle articolazioni periferiche del Lavoro?

Lo sa il livello politico di questo Paese che gli ispettori che svolgono la loro attività di controllo “a tutto campo” anche nella sicurezza sul lavoro da soli o in coordinamento con gli ispettori delle ASL, in condizioni operative, spesso, estremamente precarie e che rappresentano gli strumenti per combattere il “lavoro nero” e l’uso distorto delle tipologie contrattuali, non sono un “costo” per le finanze pubbliche, ma, con i recuperi sanzionatori e contributivi, si pagano ampiamente le loro retribuzioni e rappresentano una notevole fonte di entrata per l’Erario?

Detto questo, però, il mancato “decollo” dell’Ispettorato Nazionale investe anche l’apparato burocratico.

La nuova struttura consiste, essenzialmente, nel passaggio, a livello centrale, del personale (scarso) già in forza presso la Direzione Generale per l’Attività Ispettiva e, a livello periferico, delle Direzioni territoriali ed interregionali del Lavoro che continuano a svolgere i medesimi compiti prima assegnati che non sono, soltanto, quelli della vigilanza ma anche altri, seppur, a torto, ritenuti di secondo piano, che comprendono la mediazione  nelle controversie di lavoro, i procedimenti autorizzatori tra le quali la maternità anticipata, le procedure telematiche di dimissioni e l’iter  procedimentale presso lo Sportello Unico ubicato in Prefettura ove, spesso, si ha la responsabilità dello stesso.

Manca, del tutto, la struttura organizzativa, pur se è stato nominato un Dirigente Centrale responsabile che svolge, con impegno, il proprio lavoro, senza essere supportato da un organico che dovrebbe “gestire” risorse, locali, strutture, contenziosi, relativi ad oltre 80 sedi ed oltre 6.000 dipendenti (art. 9 del DPCM 23 febbraio 2016). La mancanza di una struttura organizzativa, elemento basilare per il funzionamento di qualsivoglia Ente od impresa, ha, a mio avviso, diversi “padri”, tra cui spicca il mancato passaggio di personale delle c.d “Direzioni di servizio” all’Ispettorato Nazionale (il criterio della volontarietà non ha fatto proseliti ed il personale è rimasto, in forte soprannumero, negli uffici ministeriali) ed il  c.d.”avvalimento ” che avrebbe dovuto accompagnare il passaggio viene adempiuto dai “ministeriali” con lungaggini e vissuto come un mero adempimento burocratico.

La collaborazione con la struttura centrale manca di qualsiasi fluidità: basti pensare, il fatto è citato a mero titolo di esempio, che anche banche-dati in possesso del Dicastero del Lavoro, a distanza di anni, non sono pienamente disponibili per gli ispettori come testimonia l’impossibilità di avere dati attendibili sul lavoro intermittente (pur essendo formalmente disponibili), cosa che comporta la necessità di chiederli ai soggetti ispezionati, in contrasto di ciò che afferma il DPR n. 445/2000, secondo il quale è vietato chiedere notizie, dati ed informazioni già in possesso della Pubblica Amministrazione.

Le articolazioni periferiche hanno “scontato” nel corso del 2017 un minor flusso di informazioni operative provenienti dalla struttura centrale dell’Ispettorato Nazionale: forse si è trattato di una fase di rodaggio o, forse, il venir meno dell’attività di interpello, rimasta in carico all’Amministrazione Centrale, ha determinato una “rarefazione” degli indirizzi operativi (ad oggi, risultano emanati dalla Direzioni Generale delle Relazioni Sindacali 3 interpelli su materie generali e nessuno sulla sicurezza del Lavoro).

Anche l’attività di formazione ed aggiornamento è risultata carente pur se sono stati registrati proficui incontri e scambi tra gli ispettori del lavoro e gli addetti alla vigilanza degli Istituti  previdenziali. Si è continuato a formare personale Dirigente e di fascia su argomenti, pur primari, come la trasparenza e l’anticorruzione secondo gli standard provenienti dalla Scuola Superiore, ma, come in passato, è del tutto mancato un aggiornamento sulle tematiche innovative del Jobs Act: collaborazioni, mansioni, contratto a termine, somministrazione, licenziamenti, offerta conciliativa ex art. 6 del decreto legislativo n. 23/2015, nuovo art. 4 della legge n. 300/1970 (fatti salvi alcuni chiarimenti espressi dall’INL), prestazioni occasionali,  ammortizzatori sociali, ecc. Il panorama lavoristico italiano è cambiato ma il Dicastero del Lavoro (inteso in senso lato) non se ne è accorto.

Le articolazioni periferiche dell’Ispettorato (e passo al terzo punto della riflessione) hanno subito tali mancanze, subendo, essendo uffici a stretto contatto con gli utenti, le criticità appena riscontrate che si sommano (cosa importante sotto l’aspetto organizzativo ed operativo) alla circostanza che, a parte gli accorpamenti territoriali anche tra sedi di diverse Regioni, molti dirigenti, causa carenze sempre maggiori dettate da pensionamenti  per raggiunti limiti di età, sono costretti a dirigere, in reggenza, più Ispettorati territoriali: ciò, a scapito dell’efficienza degli stessi, pur se appare encomiabile l’attività di supporto svolta da funzionari di livello, per lo più capo SIL che, in alcune ipotesi, hanno consentito ad alcuni Uffici di  sopravvivere operativamente, in presenza di personale con qualifica dirigenziale inadeguato (secondo il giudizio espresso dalle stessi parti sociali).

È mancato, in questo primo anno di attività, lo slancio che ci si aspettava (non c’è stato l’auspicato “cambio di passo” con gli Istituti) e spesso è  sembrato (auguro di sbagliarmi) che il compito principale delle articolazioni periferiche sia stato quello di “statisticare” le attività ispettive ed altri aspetti non proprio primari: ho l’impressione che, talvolta ( e su questo, forse, la dirigenza locale avrebbe potuto fare di più) si siano persi gli  obiettivi che sono la lotta al lavoro irregolare ed alle tipologie contrattuali “spurie”, la sicurezza sul lavoro, l’assistenza ai lavoratori (se si rivolgono all’ITL) nelle loro controversie economiche e rivendicative.

Ma, detto questo, si pone la questione di cosa fare: si deve, assolutamente, passare alla fase propositiva che non può, a mio avviso, prescindere da alcuni passaggi:

– integrazione “vera” e non sulla carta degli organi di vigilanza: integrazione che, stando al dettato normativo, passa attraverso un forte  coordinamento centrale e locale;
– messa a disposizione completa e senza riserve, di tutte le banche-dati in possesso delle varie Amministrazioni ed Enti interessati. Nella lotta al lavoro nero ed irregolare non ci possono essere “riserve” se si vuole che, effettivamente, ciò non resti una espressione priva di significati;
– riconoscimento economico dell’attività svolta nella vigilanza, sia attraverso l’equiparazione nei compiti espletati, che nei disagi affrontati con l’uso dei mezzi personali;
– ampliamento, nei limiti del possibile e secondo le esigenze, degli organici periferici sia del personale operativo che di quello dirigenziale;
– formazione continua (vera) su tutte le tematiche istituzionali.

 

Eufranio Massi

Autore: Eufranio Massi

esperto in Diritto del Lavoro - relatore a corsi di formazione in materia di lavoro

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