Obblighi per la sicurezza del distaccante e del distaccatario

Con sentenza n. 31300 del 22 luglio 2013, la quarta sezione penale della Cassazione ha affermato che nel prevedere che rimangono a carico del distaccatario tutti gli obblighi di prevenzione e protezione, salvo l’obbligo di informare e formare il lavoratore sui rischi tipici generalmente connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali viene distaccato, posto in capo al datore di lavoro distaccante, l’art. 3, comma 6, del D.L.vo n. 81/2008 specifica e riduce la posizione di garanzia del distaccante, limitatamente alla fase di esecuzione del contratto, ovvero per il tempo durante il quale il lavoratore distaccato esegue la prestazione, sicchè prima che abbia corso il distacco il datore di lavoro distaccante ha la titolarità degli obblighi tipici della posizione datoriale.

Si riporta di seguito un estratto della sentenza.

5.1. In linea di principio è opportuno ricordare quale sia la disciplina degli obblighi in materia prevenzionistica ricadenti sui datori di lavoro interessati qualora si dia corso al distacco di un lavoratore.

Il D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, art. 30, prende in considerazione l’istituto del distacco, che si realizza quando “un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa”.

In tal caso il datore di lavoro rimane responsabile del trattamento economico e normativo a favore del lavoratore e se il distacco comporta un mutamento di mansioni non può avvenire senza il consenso del lavoratore interessato. Se esso comporti un trasferimento a una unità produttiva sita a più di 50 km da quella in cui il lavoratore è adibito, il distacco può avvenire soltanto per comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive.

La costante giurisprudenza di questa Corte richiede, ai fini della legittimità del distacco, che sussista uno specifico interesse del datore di lavoro che consenta di qualificare il distacco come atto organizzativo dell’impresa che lo dispone, così determinando una mera modifica delle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, in una col carattere essenzialmente temporaneo del distacco (Cass., Sez. L. n. 9694/2009, RV. 608185). Quanto al requisito della temporaneità, non è richiesta una durata predeterminata sin dall’inizio nè che essa sia più o meno lunga, ma che “la durata del distacco coincida con quella dell’interesse del datore di lavoro a che il proprio dipendente presti la sua opera in favore di un terzo” (Cass., Sez. L. n. 17748/2004 RV. 576656).

Per quanto attiene alla ripartizione degli obblighi prevenzionistici tra datore di lavoro distaccante e datore di lavoro distaccatario, si è affermato che tali obblighi gravano sia sul datore di lavoro che ha disposto il distacco, sia sul beneficiario della prestazione, tenuto a garantire la sicurezza dell’ambiente di lavoro nel cui ambito la stessa viene eseguita (Sez. 4, n. 37079 del 24/06/2008 – dep. 30/09/2008, Ansaloni, Rv. 241021). In tale occasione questa Corte ha ritenuto che ciò derivi dall’appartenenza delle norme antinfortunistiche al diritto pubblico, come tali inderogabili in forza di atti privati. Pertanto, quali che siano i rapporti interni tra datore di lavoro distaccante e beneficiario della prestazione, rimane anche a carico del primo il dovere di rispettare le disposizioni prevenzionali. In tal modo la giurisprudenza ha colmato quello che a molti era apparso un vero e proprio vuoto normativo, a fronteggiare il quale era intervenuta, per il profilo che qui occupa, la circolare Inail n. 39/2005, la quale aveva individuato in entrambi i datori di lavoro i destinatari dell’azione di regresso D.P.R. n. 1124 del 1965, ex art. 11, ed aveva dato indicazioni per la verifica delle concrete condizioni di fatto entro le quali si svolge la prestazione.

5.2. Il ricordato principio giurisprudenziale è stato però posto prima che il D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 3, comma 6, specificasse e riducesse il significato della ritenuta persistenza della posizione di garante del distaccante rispetto al “trattamento normativo” del lavoratore distaccato. Se la locuzione qui virgolettata ha permesso interpretazioni quanto mai estese, esse non trovano più ancoraggio nel dato normativo, atteso che il citato art. 3, comma 6, esplicitamente prevede che rimangono a carico del distaccatario tutti gli obblighi di prevenzione e protezione, salvo l’obbligo di informare e formare il lavoratore sui rischi tipici generalmente connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali questi viene distaccato; tal ultimo obbligo, infatti, viene posto in capo al datore di lavoro distaccante.  La ripartizione operata dal legislatore positivizza le indicazioni provenienti dalla dottrina e tiene conto della reale allocazione dei poteri di direzione e di organizzazione dell’ambiente di lavoro.

 Pertanto essa rende inattuale il tradizionale riferimento alle note premesse normative (ad esempio, l’art. 2087 c.c.) per il tratteggio della estensione e del contenuto della posizione di garanzia del distaccante.

 5.3. Tanto vale però per quanto attiene alla fase di esecuzione del contratto, ovvero per il tempo durante il quale il lavoratore distaccato esegue la prestazione. Prima di tale momento la posizione del datore di lavoro distaccante non può che essere ricostruita secondo la consueta griglia normativa, eventualmente adattata alle particolarità del caso. In quanto datore di lavoro, il distaccante, prima che abbia corso il distacco, ha la titolarità degli obblighi tipici della posizione datoriale; in quell’area in cui i poteri direttivi si attenuano per la sempre maggiore incombenza degli analoghi poteri del distaccatario quegli obblighi assumono i contenuti resi possibili dalla particolarità di tale vicenda. Nel momento in cui trova esecuzione la prestazione del lavoratore distaccato, il datore di lavoro distaccatario assume tutti gli obblighi prevenzionistici, eccezion fatta per quello di informazione e di formazione sui rischi tipici generalmente connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali vi è il distacco (e, peraltro, la dottrina discute se tale obbligo sia posto in capo al distaccante in via esclusiva o piuttosto concorrente).

 6. Il caso che occupa è in tal senso paradigmalico; e la Corte di Appello ha fatto buon governo dei principi appena espressi.

 Premesso che non è oggetto di contestazione la legittimità del distacco del lavoratore Fl., non vi è dubbio alcuno che al F. non si poteva chiedere di intervenire sul ponteggio e nell’esecuzione dell’opera; ma gli si è ascritto giustamente di aver dato corso al distacco nonostante non fossero esistenti le condizioni di garanzia.

 La Corte di Appello, che pure non ha colto il senso e gli effetti della nuova disposizione, continuando a richiamare l’art. 30, come se si trattasse di norma integrativa del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 3, comma 3, ha però individuato correttamente l’obbligo prevenzionistico incombente sul F., laddove ha affermato che questi non avrebbe potuto disporre il distacco del Fl. a favore del D. senza essersi preventivamente accertato che i ponteggi erano stati modificati ed adeguati alla vigente normativa.

 Ovviamente, l’emanazione di disposizioni in tal senso era possibile al F. già al termine del sopralluogo eseguito il (Omissis); sicchè risulta del tutto irrilevante che egli sia stato subito dopo ricoverato e tale fosse ancora il giorno dell’infortunio;

 e per le medesime ragioni risulta irrilevante che il ponteggio sia stato modificato durante tale periodo.

7. I motivi articolati nell’interesse del D. sono parimenti manifestamente infondati.

 Quanto alla inesigibilità della condotta doverosa per non poter egli intervenire sul ponteggio, vaie anche per il D. quanto già affermato per il F.; l’obbligo principale era quello di garantire che il Fl. non si ponesse al lavoro prima che il ponteggio fosse conforme a norma.

 Quanto alla violazione del principio di correlazione, è sufficiente rammentare il consolidato indirizzo giurisprudenziale che afferma che per aversi mutamento del fatto oggetto di contestazione occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenirsi ad una diversità o ad un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione, da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; e la relativa indagine in ordine alla correlazione fra imputazione contestata e sentenza non va esaurita nel pedissequo e mero confronto letterale fra contestazione e sentenza, giacchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (così, ex plurimis, Cass. Sez. Un., sent. n. 16 del 19.6.1996, De Francesco, rv. 205619; Cass. Sez. 6, sent. n. 34051 del 20/02/2003, Ciobanu, Rv. 226796).

 Con specifico riferimento alla responsabilità per colpa, si è ritenuta la legittimità della sentenza di condanna per il reato di omicidio colposo a seguito di infortunio sul lavoro che, a fronte di una contestazione di colpa generica per omesso controllo dello stato di efficienza di una macchina per la tutela della sicurezza dei lavoratori, affermi la responsabilità a titolo di colpa specifica, riconducibile all’addebito di colpa generica (Cass. Sez. 4, n. 35666 del 19/06/2007, Lanzelotti, Rv. 237469), e in termini più generali che “nei procedimenti per reati colposi, la sostituzione o l’aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di colpa originariamente contestato, non vale a realizzare diversità o immutazione del fatto ai fini dell’obbligo di contestazione suppletiva di cui all’art. 516 c.p.p., e dell’eventuale ravvisabilità, in carenza di valida contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell’art. 521 c.p.p.” (Cass. sez. 4, n. 31968 del 19/05/2009, Raso, Rv. 245313).

 Nel caso in esame al D. la contestazione originaria imputava una nutrita serie di contravvenzioni, talune descritte in forma omissiva (aver omesso l’adozione di adeguate passerelle, munite di parapetti e tavole fermapiede, aver omesso di redigere il POS, aver omesso di dotare il ponteggio di una basetta al piede etc.), altre descritte in forma commissiva (“disponeva che la distanza tra il bordo interno del ponteggio ed il corpo di fabbrica fosse ovunque superiore a 20 centimetri…”) e tutte ugualmente ritenute causalmente efficienti rispetto all’evento verificatosi. L’assunto della difesa è quindi privo di riscontro fattuale, prima ancora che infondato in diritto.

 Sotto tal ultimo profilo va ricordato che già la Corte di Appello ha evidenziato l’esistenza di una contestazione anche a titolo di colpa generica. Del tutto immune da vizi è quindi la motivazione della sentenza impugnata, rispetto alla quale il ricorso si propone sostanzialmente come aspecifico, riproponendo censure già divisate, senza tener conto delle spiegazioni rese a sostegno del loro rigetto.

 Per ciò che concerne la pretesa illegittimità dell’ascrizione del medesimo fatto sia a titolo di contravvenzione che quale elemento costitutivo di un delitto circostanziato, l’assunto pare non tener conto della possibilità di concorso formale di reati, sempre ammessa dalla costante giurisprudenza di questa Corte.

 Infine, l’alternativa ipotetica posta dal ricorrente con l’ultimo motivo di ricorso non ha in realtà ragione di essere: il D. era ben consapevole delle lavorazioni che avrebbero dovuto eseguire i fabbri e quindi della necessità di arrecare modifiche al ponteggio ed in forza di ciò aveva l’obbligo di assicurarsi della regolarità del medesimo e di vietarne l’uso ai propri lavoratori (quindi anche al Fl.) in caso esistessero condizioni di insicurezza.

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Autore: La Redazione

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