Articolo: Cessione d’azienda: continuità del rapporto di lavoro e risarcimento del danno

approfondimento di Salvatore Servidio – Esperto tributario e del processo del lavoro

 

Estratto dal n. 17/2015 di Diritto & Pratica del Lavoro (Settimanale IPSOA)

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Diritto_pratica_lavoro“Nello storico di lite della sentenza 10 aprile 2015, n. 7281, della Corte di Cassazione, la Corte d’Appello accoglieva il gravame del datore di lavoro avverso la sentenza di primo grado che aveva invece accolto i ricorsi proposti da alcuni lavoratori, revocando i decreti ingiuntivi richiesti dalle parti appellate.

Con i citati provvedimenti monitori, il Tribunale del lavoro aveva intimato alla società di pagare in favore dei dipendenti le somme maturate a titolo di retribuzione nel periodo accertato in ragione di altra sentenza resa tra le parti dallo stesso Tribunale, con la quale era stata dichiarata l’illegittimità del trasferimento del contratto di lavoro dei ricorrenti per cessione di ramo d’azienda dalla Spa ad altra Srl e per l’effetto condannava la società al ripristino del rapporto.

La società appellante, tuttavia, non aveva dato esecuzione spontanea all’ordine del giudice di ripristino dei rapporti, sicché i lavoratori avevano continuato a prestare attività lavorativa in favore della società cessionaria, dalla quale avevano regolarmente ricevuto nel periodo in contestazione la retribuzione, sicché la Corte territoriale riteneva che nella fattispecie in esame, sebbene la condotta della Spa – che non aveva provveduto tempestivamente a ripristinare la funzionalità del rapporto con gli appellati, nonostante a ciò sollecitata – dovesse considerarsi illegittima, le conseguenze di tale condotta non potevano che rilevare sul piano risarcitorio e non, invece, in difetto della prestazione lavorativa, su quello retributivo, con conseguente eccepibilità o rilevabilità del cosiddetto “aliunde perceptum”, il quale nel caso di specie elideva completamente il danno subito per effetto della perdita della retribuzione.

Nei conseguenti ricorsi per cassazione, i lavoratori denunciavano innanzitutto violazione di legge (artt. 1206, 1207, 1217 e 1453 c.c.), nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che la messa in mora del creditore e l’impossibilità della prestazione per fatto imputabile esclusivamente al creditore stesso non determinino il diritto ad esigere la controprestazione cioè la retribuzione, da parte del lavoratore, ma esclusivamente il diritto al risarcimento del danno, con applicabilità dei principi della compensatio lucri cum damno e, in particolare, dell’aliunde perceptum.

In secondo luogo i ricorrenti deducono violazione dell’art. 2094 c.c. («Prestatore di lavoro subordinato»), nella parte in cui la sentenza ha ritenuto che, stante la natura sinallagmatica del rapporto di lavoro, l’erogazione del trattamento economico anche in caso di mancata prestazione costituisca un’eccezione, prevista elusivamente dalla legge o dal contratto. Nella specie il sinallagma genetico tra le obbligazione del datore di lavoro e del lavoratore è stato ricostituito con sente n z a , i n r a g i o n e d e l l ’ a c c e r t a m e n t o dell’illegittimità della cessione del ramo di azienda, e la omessa prestazione lavorativa è imputabile al solo datore di lavoro che diventa unico responsabile della mancata esecuzione del contratto…continua la lettura

 


 

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Autore: Wolters Kluwer Italia

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