Articolo: Il contributo addizionale progressivo nei contratti a termine

approfondimento di Eufranio Massi per The world of il Consulente (n. 102 – anno IX – ottobre 2019)

 

 IL CONTRIBUTO ADDIZIONALE PROGRESSIVO NEI CONTRATTI A TERMINE

Dopo oltre un anno dalla data di entrata in vigore del D.L. n. 87/2018 l’INPS, con la circolare n. 121 del 6 settembre 2019, ha fornito le proprie indicazioni operative legate al pagamento del contributo addizionale previsto nei rinnovi dei contratti a tempo determinato e dei contratti di somministrazione. Tale nota è stata, successivamente, corretta dal messaggio n. 3447 del 24 settembre che ha spostato, in avanti, di un mese (ottobre), il termine per i versamenti del contributo addizionale antecedenti l’emanazione della circolare. Il messaggio si è reso necessario in quanto l’Istituto ha ritenuto che le aziende, i professionisti e le case di software avessero poco tempo per adeguarsi alle istruzioni dettate con la circolare la quale, uscita, come detto, a distanza di oltre dodici mesi dalla disposizione legale, non è che possa essere ritenuta un mostro di velocità da additare come esempio da seguire bel fornire all’utenza tutte le indicazioni necessarie per ben operare.

Il testo non presenta particolari sorprese (né, a mio avviso, potevano essercene essendo l’Istituto “legato” sia al dettato normativo che ai chiarimenti amministrativi, abbastanza restrittivi, forniti dal Ministero del Lavoro con la circolare n. 17/2018).

Prima di entrare nel merito di quanto affermato dall’INPS credo che sia necessario ricapitolare alcuni indirizzi che hanno portato il Legislatore prima ed il Ministero del Lavoro, poi, a  declinare, in tal modo, la nuova normativa sui contratti a termine.

Si è voluto scoraggiare il ricorso al tempo determinato, cercando di favorire una utilizzazione dei rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, attraverso alcuni strumenti normativi ed interpretativi che possono così sintetizzarsi:

  1. acausalità del contratto per una durata massima di dodici mesi, raggiungibili anche attraverso una o più proroghe (quattro in tutto in un arco temporale di ventiquattro mesi);
  2. introduzione di condizioni ex art. 19 che, a parte quelle correlate alle ragioni sostitutive, presentano difficoltà notevoli di apposizione, sol che si pensi, ad esempio, alle esigenze temporanee ed oggettive estranee all’attività ordinaria;
  3. non previsione per la contrattazione collettiva, anche aziendale, di cause specifiche che maggiormente si attaglierebbero al settore o alla specificità dell’impresa
  4. necessità di una condizione qualora un primo contratto a tempo determinato si prolunghi, senza soluzione di continuità, per una causale diversa dalla prima (circolare n. 17/2018, come nel caso di un rapporto nato come “acausale” che si prolunga, pur restando nei dodici mesi complessivi con una sostituzione per malattia). Si tratterebbe, secondo il Dicastero di via Flavia, di un rinnovo, senza soluzione di continuità, cosa che osta con la dizione normativa che prevede “lo stacco” tra un rapporto a termine e l’altro. Va, peraltro ricordato, che tale affermazione va contro ciò che, sempre in via amministrativa, con la circolare n. 42/2002 (anche allora c’erano le causali previste dal D.L.vo n. 368/2001) era stato affermato, a mio avviso, correttamente, parlando di proroga del contratto, pur con l’apposizione di una condizione diversa;
  5. necessità di una causale qualora il primo contratto superi, con la proroga, la soglia dei dodici mesi;
  6. piena equiparazione, sotto l’aspetto della apposizione delle condizioni, tra contratto a termine e somministrazione a tempo determinato, sicchè si parla di rinnovo (con causale) qualora al primo succeda il secondo o viceversa: tutto questo scaturisce dalla sostanziale assimilazione delle due tipologie più volte sottolineata nella circolare n. 17/2018, cosa che, a mio avviso, presenta alcuni punti deboli sotto l’aspetto prettamente giuridico;
  7. rinnovo del contratto tra le parti con apposizione delle causali: ciò si verifica allorquando, tra le parti viene stipulato un nuovo contratto, anche se questo sia riferibile ad un livello o ad una categoria legale di inquadramento diversa dalla precedente. A tale principio fa eccezione, a mio avviso, il rinnovo ove le parti fanno seguire ad un contratto a termine “ordinario” un contratto per attività stagionali ove la causale non è obbligatoria;
  8. progressività del contributo addizionale dello 0,5%, come stabilito, in via interpretativa, dalla circolare n. 17/2018 e ribadito dall’INPS: ciò significa che ad ogni rinnovo lo 0,5% si somma alla precedente contribuzione, cosa che, nei contratti stagionali determinati dalla contrattazione collettiva, esclusi dal “regime di favore” del D.P.R. n. 1525/1963, dopo una serie di rinnovi, peraltro obbligati dalla legge (art. 24 del D.L.vo n. 81/2015) in virtù di un diritto di precedenza legittimamente espresso, la contribuzione aggiuntiva verrà a rappresentare un costo notevole.

L’aumento del contributo dello 0,5%, rispetto all’1,40% “normale”, destinato al finanziamento della NASpI, è stato previsto dal Legislatore all’interno dell’art. 2, comma 28, della legge n. 92/2012,  con la sola esclusione dei contratti di lavoro domestico: così ha affermato la legge di conversione n. 96. Tale aumento si verifica anche allorquando ad un contratto a tempo determinato segua un contratto di somministrazione a termine (ma anche in caso contrario).

Nella sostanza, l’Istituto ricorda che lo 0,5% progressivo trova applicazione in tutte quelle ipotesi nelle quali si applica il contributo dell’1,40%, ivi compresi i rapporti di lavoro marittimo: tutto questo a partire dal 14 luglio 2018.

L’addizionalità è esclusa per:

  1. i rapporti a tempo determinato dei lavoratori agricoli, per la specialità degli stessi;
  2. i rinnovi dei contratti a termine stipulati dalle Pubbliche Amministrazioni che sono quelle, in gran parte (ma non solo) individuate dall’art. 1, comma 2, del D.L.vo n. 165/2001;
  3. per i rinnovi relativi ai lavoratori destinati a svolgere attività di insegnamento, di ricerca scientifica o tecnologica, di trasferimento di know-how e di supporto, di assistenza tecnica o coordinamento presso le università private, incluse le filiazioni di quelle straniere, gli istituti pubblici di ricerca, le società pubbliche che promuovono la ricerca e l’innovazione e gli enti privati di ricerca. Per costoro, è bene precisarlo, resta il contributo addizionale dell’1,40% ma non quello aggiuntivo dello 0,5%;
  4. per la sostituzione di lavoratori assenti;
  5. per lo svolgimento di attività stagionali ex D.P.R. n. 1525/1963: il D.L.vo n. 81/2015 ha dato mandato al Ministro del Lavoro, sentite le parti sociali, di emanare un D.M. sostitutivo atteso che molte delle attività ivi indicate risultano desuete. La norma c’è dal giugno del 2015 ma, finora, non si è vista “l’ombra” di un provvedimento sostitutivo ed aggiornato. L’esenzione dal contributo addizionale, come detto in precedenza, non riguarda i contratti stagionali (ove la causale specifica non è prevista) disciplinati dalla contrattazione collettiva, anche aziendale e dove il costo della contribuzione lievita ad ogni rinnovo;
  6. per gli apprendisti: è pur vero che l’apprendistato (art. 41 del D.L.vo n. 81/2015) è un contratto a tempo indeterminato finalizzato all’inserimento lavorativo dei giovani attraverso la formazione, ma è anche vero che il Legislatore ha previsto la possibilità dell’apprendistato, a termine, con caratteristiche stagionali (art. 44), previa determinazione della contrattazione collettiva , come è avvenuto, ad esempio, nel settore turistico.

Una domanda che gli operatori si stanno facendo in questi giorni è la seguente: il contributo addizionale si applica anche al lavoro intermittente a tempo determinato?

La risposta. A mio avviso, è negativa per le seguenti considerazioni:

  1. il comma 2 dell’art. 3 del D.L. n. 87/2018 intervenendo sull’art. 2, comma 28, della legge n. 92/2012 afferma che “il contributo addizionale è aumentato di 0,5 punti percentuali in occasione di ciascun rinnovo del contratto a tempo determinato, anche in regime di somministrazione”, con l’eccezione del contratto di lavoro domestico. Non si parla, quindi, di contributo addizionale per il “lavoro a chiamata” a termine e la cosa mi sembra giusta in quanto tutto il D.L. n. 87/2018 (se il contesto normativo ha, come credo, un proprio valore) si sofferma sul contratto a tempo determinato e sulla somministrazione a termine, parlando di durata, di condizioni, di proroghe e di rinnovi, non nominando “mai” il lavoro intermittente;
  2. la circolare n. 121/2019 non cita mai, ai fini del contributo addizionale progressivo, il lavoro intermittente: e, d’altra parte, non poteva farlo in quanto una sua citazione avrebbe rappresentato un improprio allargamento oltre i confini del dettato normativo.

In passaggio successivo la circolare n. 121 traccia alcuni esempi relativi alla determinazione del contributo addizionale: partendo dal primo contratto ove lo stesso è 1,40%, al primo rinnovo sale all’1,90%, al secondo al 2,4%, al terzo al 2,9%, e così via, ed afferma che ai soli fini della determinazione della misura addizionale non si tiene conto dei rinnovi contrattuali intervenuti precedentemente al 14 luglio 2018, data di entrata in vigore del D.L. n. 87.

Giustamente l’INPS, si sofferma sul contributo addizionale, ma i precedenti contratti valgono, ai fini del rinnovo, con l’apposizione della causale, pur se svolti in periodi, anche lontani, antecedenti tale data.

La contribuzione aggiuntiva (compresa l’addizionale), ricorda l’Istituto, viene restituita in caso di trasformazione a tempo indeterminato, superato l’eventuale periodo di prova apposto e laddove intervenga una assunzione a tempo indeterminato entro i sei mesi successivi alla fine del precedente contratto a termine, con la detrazione delle mensilità “di non lavoro” tra il nuovo ed il precedente rapporto. Ovviamente, in presenza di più rapporti a tempo determinato dovuti a rinnovi, il recupero dell’importo riguarda soltanto l’ultimo contratto.

Alcune considerazioni, ulteriori rispetto a quelle già fatte, si rendono necessarie.

Le parti sociali, sotto esplicita richiesta delle aziende, hanno fatto, talora, ricorso ai contratti di prossimità, correlati ad un obiettivo di scopo individuato tra quelli previsti dall’art. 8, comma 1, della legge n. 148/2011 o alla individuazione, attraverso la contrattazione collettiva, anche aziendale, delle attività stagionali: il tutto, soprattutto, per sfuggire alle “stringenti condizioni” previste dall’art. 19 del D.L.vo n. 81/2015, come modificato dalla legge di conversione n. 96/2018. Tutto questo, se da un lato, ha fatto sì che le causali non fossero apponibili, dall’altro non ha potuto toccare il contributo addizionale (cosa impossibile anche con i contratti di prossimità che non possono intervenire sulla contribuzione che riguarda un terzo soggetto estraneo al contratto, l’INPS). Tutto questo comporta un costo progressivo per ogni campagna stagionale alla quale può porre rimedio soltanto il Legislatore con una chiara esclusione, in quanto la riassunzione degli stagionali dipende da un obbligo di legge e, sostanzialmente, proprio perché si tratta di assunzioni temporanee legate a fatti ricorrenti, una assunzione a tempo indeterminato degli stessi (con restituzione della contribuzione aggiuntiva), salvo rare eccezioni, non appare possibile.

Nulla ha detto, poi, la circolare n. 121 sui rapporti per l’esecuzione di speciali servizi di durata non superiore a tre giorni, nel settore del turismo e dei pubblici esercizi, nei casi individuati dalla contrattazione collettiva, nonché di quelli instaurati per la fornitura di lavoro portuale temporaneo ex art. 17 della legge n. 84/1994. Si tratta di rapporti ai quali non trova applicazione quanto previsto dal D.L.vo n. 81/2015 in materia di contratti a termine, ma il contributo addizionale per i rinnovi è previsto dall’art. 2, comma 28 della legge n. 92/2012. Se, come appare, si dovesse parlare di contributo addizionale anche per tali brevi rapporti del fine settimana (ripeto, l’INPS non li cita, assolutamente, tra i casi di esclusione), i datori di lavoro del settore saranno sempre più spinti ad utilizzare il lavoro intermittente nelle voci richiamate, “ratione materiae”, dal “defunto” (perché abrogato) R.D. n. 2657/1923 (peraltro, non sussiste il limite della 400 giornate nel triennio), ove non c’è il contributo addizionale, o le prestazioni di lavoro occasionale ex art. 54-bis, della legge n. 96/2017 che ha convertito, con modificazioni, il D.L. n. 50.

Il messaggio n. 3447, correggendo la circolare n. 121, stabilisce, infine, che le maggiorazioni dovute per il periodo antecedente la circolare (14 luglio 2018 – 31 agosto 2019) dovranno essere pagate con le scadenze legate alle retribuzioni di ottobre: al contempo, la circolare, negli ultimi due paragrafi, offre una completa disamina operativa riferita alle modalità di pagamento.

Eufranio Massi

Autore: Eufranio Massi

esperto in Diritto del Lavoro - relatore a corsi di formazione in materia di lavoro

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