Articolo: L’Ispettorato Nazionale del Lavoro alla ricerca di una nuova strada sui trattamenti retributivi

approfondimento di Eufranio Massi per The world of il Consulente (n. 100 – anno IX – giugno 2019)

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro alla ricerca di una nuova strada sui trattamenti retributivi: novità e questioni operative aperte

Sui “media” e sulla stampa specializzata ha avuto ampia eco la circolare n. 7 del 6 maggio 2019 con la quale l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha invitato i propri organi di vigilanza periferici ad accertare l’effettivo trattamento economico e normativo corrisposto e riconosciuto ai lavoratori, andando anche al di là del mero richiamo formale all’applicazione del contratto, come si usa inserire nella lettera di assunzione.

Da parte di alcuni (probabilmente, in maniera non corretta) si è visto, in questa nota, un primo tentativo di verificare, nel concreto, una sorta di “salario minimo” intorno al quale si sta argomentando sia in Parlamento che nell’opinione pubblica, da parte di altri, invece (probabilmente, in modo più puntuale), si è sottolineato il tentativo di trovare “agibilità” alla contrattazione non scaturente dalle associazioni comparativamente più rappresentative.

La via verso il “godimento” dei benefici di natura contributiva correlati alle assunzioni di nuovo personale, è stata da sempre, nel nostro ordinamento, “abbastanza” irta di asperità: alle cogenti disposizioni della normativa italiana (è sufficiente pensare all’art. 1, comma 1175, della legge n. 296/2006, ed all’art. 31 del decreto legislativo n. 150/2015, ma anche a quelle recenti, contenute nell’art. 8 del D.L. n.4/2019, relative alle assunzioni dei soggetti percettori del reddito di cittadinanza) e dei regolamenti comunitari sul “de minimis”, sugli incrementi occupazionali e sul concetto di “impresa unica”, si sono aggiunte, spesso, interpretazioni amministrative o passaggi “obbligati” che hanno reso le norme ancora più “burocratizzate” e difficili da interpretare.

Questa breve premessa si è resa necessaria per comprendere il significato dell’ultima nota emanata dall’INL.

L’attenzione dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro si è, da ultimo, focalizzata, attraverso la circolare n. 7/2019, sulla condizione legata al “rispetto degli accordi e dei contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali, laddove sottoscritti, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative a livello nazionale”. Per completezza di informazione, ricordo che per gli accordi aziendali, il Legislatore (art. 51 del decreto legislativo n. 81/2015), legittima anche, quali firmatarie, le RSA emanazione delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, o le RSU.

La condizione appena richiamata è una di quelle previste dal citato comma 1175 dell’art. 1 della legge n. 296/2006 che richiede, peraltro, altre specifiche condizioni: la regolarità contributiva ed il rispetto degli altri obblighi di legge tra i quali, particolarmente importanti, sono quelli relativi alla salute e sicurezza sul lavoro le cui violazioni, in casi particolarmente gravi, riportati nell’allegato al D.M. del 2015 sul DURC, comportano la sospensione temporanea dello stesso documento.

Con la circolare n. 7 l’INL invita le proprie articolazioni periferiche (ma, in un certo senso, ai fini di una auspicabile uniformità di comportamento, la nota viene indirizzata anche agli Istituti previdenziali) a verificare, nel corso degli accertamenti, che il rispetto di quanto previsto dalla norma non sia soltanto formale ma di verificare, soprattutto se ad essere applicati sono accordi collettivi, stipulati da altre associazioni, se il trattamento economico corrisposto e quello normativo riconosciuto siano equivalenti o superiori a quello determinato dalla contrattazione collettiva, anche di secondo livello, sottoscritta dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative.

L’esame di equivalenza, rispetto al quale mi riservo di fare alcune considerazioni, non può tenere conto dei trattamenti corrisposti a seguito di misure correlate alla produttività ed al miglioramento delle “performance” nelle quali, attraverso accordi sindacali o piani di welfare, si ottengono benefici di natura fiscale o contributiva. L’Ispettorato Nazionale del Lavoro ricorda, qualora ce ne fosse bisogno, che il mancato rispetto dei contratti collettivi sopra evidenziati (a meno che i nuovi non prevedano un trattamento economico-normativo che, sotto il piano dell’equivalenza, sia uguale o superiore) comporta la perdita dei benefici normativi e contributivi, eventualmente, già fruiti.

Quanto affermato dall’organo nazionale di vigilanza suscita alcune perplessità che, a mio avviso, faticano a diradarsi.

Si parla, infatti, di una valutazione di equivalenza e di comparazione senza fornire agli ispettori del lavoro, abituati ad operare seguendo le disposizioni di legge e le circolari amministrative, seppur opinabili, una griglia di valori e di situazioni sulla cui base poter operare.

Ciò, quantomeno, potrebbe portare a valutazioni difformi sul territorio nazionale, essendo il tutto rimesso alla valutazione discrezionale, alla capacità del singolo funzionario ispettivo a districarsi

(cosa non facile) all’interno di complessi istituti contrattuali non solo economici, ma anche normativi. Il problema sussiste pur se, nel silenzio dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, vengano forniti, a livello interregionale, dai Dirigenti preposti (ma è solo una mera ipotesi estremamente teorica), canoni indicativi a cui riferirsi.

La valutazione deve essere complessiva e, se necessario, deve fornire un “valore ponderato” a situazioni diverse come, ad esempio, un trattamento economico complessivo inferiore a quello previsto dalla contrattazione collettiva applicata alla maggior parte dei lavoratori di quel settore, accompagnata, però da istituti normativi migliori per certi aspetti che possono riguardare sia la generalità dei lavoratori (ad esempio, ferie, termini più lunghi nella procedura disciplinare con ulteriori garanzie per i dipendenti, riduzione delle sanzioni attraverso una apposita norma contrattuale) che una parte di essi (maggiori permessi legati alla maternità, o al diritto allo studio).

Come va valutato, ad esempio, un trattamento economico maggiore per lavoro straordinario? Si tratta di una ipotesi che non necessariamente riguarda tutti i lavoratori e, soprattutto, se presso quella azienda si fa scarso ricorso alle “prestazioni extra orario” se ne deve tenere in debito conto e, in caso positivo, quale è il “valore ponderale”?

Altre riflessioni si potrebbero effettuare, come quelle, ad esempio, riguardanti un contratto di prossimità che, legittimamente, può derogare su alcune specifiche materie e avendo nel “mirino” uno degli obiettivi di scopo previsti dal comma 1 dell’art. 8 della legge n. 148/2011, sia al dettato normativo che a quello contrattuale. Cosa avviene se, ad esempio, la sottoscrizione avviene con un rappresentante sindacale non espressione di una associazione comparativamente più rappresentativa e, con quell’accordo, vengono disciplinati istituti che, indirettamente, possono agire sulla retribuzione (ad esempio, una diversa maggiorazione del lavoro straordinario). A mio avviso, tale “derogatio in peius “ non è possibile e gli ispettori del lavoro potrebbero procedere, oltre che al recupero contributivo, anche alla diffida accertativa per crediti patrimoniali ex art. 12 del D.L.vo n. 124/2004, sulla scorta di quanto già affermato dall’INL con la circolare n. 3/2018 (in assenza di un CCNL di riferimento – e tale non è, nel caso di specie quello sottoscritto dalle associazioni comparativamente più rappresentative- il contratto di prossimità non può avere effetti derogatori).

Da quanto appena detto, scaturiscono, a mio avviso, alcune considerazioni.

Se la disposizione amministrativa resterà così, nel senso che non giungeranno ulteriori chiarimenti amministrativi finalizzati ad indirizzare, concretamente, l’attività di vigilanza (per uniformità, la questione dovrebbe interessare sia gli ispettori degli Istituti previdenziali che, negli indirizzi, dovrebbero essere coordinati dagli Ispettorati Territoriali del Lavoro, che le competenti Direzioni centrali dell’INPS e dell’INAIL), il risultato, potrebbe essere, al di là delle intenzioni di chi ha scritto e voluto la nota, uno solo: la direttiva rimarrebbe priva di effetti perché mancano gli strumenti minimi per poter, concretamente, operare.

La seconda riflessione riguarda la normativa, tutta da attuare sotto l’aspetto legale, relativa alla rappresentanza ora affidata soltanto ad accordi interconfederali di settore: finché non si arriverà ad una determinazione sull’argomento, ogni comparazione, finalizzata a ritenere, al di là del mero dato terminologico, applicabili anche altri contratti collettivi, senza fornire agli organi di vigilanza una “griglia” minima di dati e riferimenti rispetto ai quali operare, rimarrà un pio desiderio.

Eufranio Massi

Autore: Eufranio Massi

esperto in Diritto del Lavoro - relatore a corsi di formazione in materia di lavoro

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