Articolo: Patto di non concorrenza e diritto d’opzione

approfondimento di Andrea Loro – Avvocato

 

Estratto dal n. 1/2020 di Diritto & Pratica del Lavoro (Settimanale IPSOA)

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Diritto_pratica_lavoroLa questione affrontata

Al momento dell’assunzione, una società e un lavoratore sottoscrivevano il relativo contratto di lavoro che, però, conteneva al suo interno la seguente clausola (che si riporta per intero):  “come da accordi si conviene sulla istituzione di un patto di non concorrenza con le modalità meglio specificate nell’apposito documento allegato al presente contratto del quale ne costituisce parte integrante”.

Al contratto di lavoro veniva, dunque, allegato un documento che conferiva alla datrice di  lavoro la facoltà di esercitare un diritto d’opzione nei termini che seguono: “1. Diritto di opzione. 1.1 La nostra società si riserva fin d’ora la facoltà a propria insindacabile  discrezione, di aderire al patto di non concorrenza qui di seguito previsto comunicandole la propria volontà a  mezzo raccomandata a.r. o a mani all’atto della risoluzione del rapporto di lavoro, per qualunque causa sia intervenuta, e segnatamente: a) all’atto della comunicazione di recesso da parte della società; b) entro otto giorni  lavorativi dal ricevimento di sua comunicazione di dimissioni, nel caso in cui questa pervenisse alla società  anteriormente al termine di cui al punto che immediatamente precede. 1.2 Decorsi tali termini senza che le sia pervenuta la comunicazione di cui al punto 1.1.1  o in assenza di comunicazioni per quanto previsto al punto 1.1.2 l società sarà automaticamente sollevata dal versamento di qualsiasi importo a suo favore in relazione all’obbligo di  non concorrenza di cui al presente patto, e specularmente, lei sarà libero da ogni vincolo qui di seguito previsto”.

Nel testo del contratto stipulato tra le parti, il patto di non concorrenza veniva previsto “per un periodo di 24 mesi  successivo alla cessazione, per qualsiasi causa essa sia dovuta, del rapporto di lavoro intercorrente con la società, in conformità a quanto previsto dall’art. 2125 c.c.”

Parimenti, il contratto indicava anche il compenso  previsto quale corrispettivo del patto di non concorrenza: “quale compenso del predetto obbligo di non concorrenza le sarà riconosciuto successivamente alla cessazione del  rapporto un compenso pari al 20,00% della sua retribuzione lorda fissa percepite negli ultimi due anni, in proporzione all’effettivo periodo lavorato se inferiore. Tale somma le sarà corrisposta a partire dal primo mese successivo alla cessazione del rapporto di lavoro, in rate  mensili posticipate ed ogni pagamento mensile sarà diretto a compensare l’obbligo di non concorrenza cui lei sarà soggetto nel mese di riferimento”.

Il rapporto di lavoro si risolveva a seguito delle dimissioni volontarie rassegnate dal lavoratore, e la società non esercitava il diritto di opzione nei termini previsti dalla clausola contrattuale sopra riportata.

Nonostante ciò, il lavoratore adiva il Tribunale di Monza per richiedere la condanna della società al pagamento del corrispettivo previsto dal patto di non concorrenza, sostenendo la nullità dell’opzione contrattuale a favore del  soggetto datoriale e il conseguente perfezionamento ab origine del patto di non concorrenza.

In particolare, il lavoratore argomentava sostenendo che il patto di non concorrenza – così come strutturato in sede contrattuale – si fosse “già perfezionato con la relativa pattuizione, impedendo così al lavoratore di progettare […] il proprio futuro lavorativo e comprimendo, quindi, la sua libertà”. ”…continua la lettura

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Autore: Wolters Kluwer Italia

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