Articolo: Parità uomo-donna e licenziamento discriminatorio

approfondimento di Salvatore Servidio – Esperto tributario del processo del lavoro

 

Estratto dal n. 20/2016 di Diritto & Pratica del Lavoro (Settimanale IPSOA)

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Diritto_pratica_lavoro“Il fatto oggetto della sentenza della Corte di cassazione  5 aprile 2016, n. 6575, riguarda una lavoratrice  che agiva nei confronti di un avvocato – suo datore di lavoro – chiedendo accertarsi la intercorrenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato nel periodo settembre 1993 – settembre 2005 ascrivibile al livello 4° del Ccnl Studi Professionali e per l’effetto condannare la convenuta al pagamento delle differenze retributive, previa dichiarazione di nullità/illegittimità del licenziamento intimato in data 27 settembre 2005 perché determinato da motivo illecito e/o discriminatorio, con ulteriore condanna del datore alla reintegra nelle mansioni ed al pagamento delle retribuzioni maturate dal licenziamento alla reintegra, e risarcimento del danno, sulla base dell’ultima retribuzione dovuta.
La lavoratrice chiedeva altresì, in subordine, di dichiarare ancora in essere il rapporto di lavoro e condannare il suo datore al pagamento delle retribuzioni dalla data del licenziamento sino a valida risoluzione del rapporto, con risarcimento del danno, sulla base dell’ultima retribuzione dovuta con ulteriore subordinata richiesta di dichiarare l’illegittimità del licenziamento, con riammissione in servizio nel termine di tre giorni ed in mancanza al risarcimento del danno, nella misura di dieci mensilità dell’ultima retribuzione dovuta.
Il Tribunale adito accoglieva la domanda, ritenendo il licenziamento adottato per ragioni disciplinari in violazione procedimento previsto dall’art. 7 dello Statuto dei lavoratori, condannando il datore di lavoro alla riassunzione della lavoratrice e, in mancanza, al risarcimento del danno, nella misura di sei mensilità dell’ultima retribuzione.
Nel conseguente appello, la lavoratrice insisteva per l’integrale accoglimento delle proprie domande e la Corte d’Appello, in parziale riforma della sentenza impugnata, confermava la nullità del licenziamento in quanto discriminatorio rispetto al proposito manifestato dalla lavoratrice di sottoporsi all’estero a pratiche di inseminazione artificiale (o comunque dovuto ad un motivo illecito determinate), ordinando la reintegrazione della dipendente nelle mansioni e condannando il datore di lavoro al pagamento delle retribuzioni globali di fatto maturate dal licenziamento alla reintegra. Nel successivo ricorso per cassazione, il professionista sosteneva violazione di varie disposizioni di legge, in quanto la comunicazione di licenziamento evidenziava, quale ragione del recesso, le ricadute negative delle assenze programmate sulla funzionalità dello studio e, dunque, una ragione economica, circostanza che di per sé escludeva il motivo discriminatorio così come il carattere unico e determinante del motivo illecito.
Inoltre, il professionista deduceva che non poteva ritenersi sussistere il motivo discriminatorio o illecito a fronte di una condotta della dipendente intesa ad utilizzare l’istituto delle assenze per malattia al di là dei limiti ad esso propri, non essendo configurabile una assenza per malattia in “prevenzione”, facendosi riferimento nella comunicazione dei motivi a precise condotte, costituenti utilizzazione abusiva dell’istituto della assenza per malattia e, comunque, alla violazione degli obblighi discendenti dal rapporto di lavoro….continua la lettura

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Autore: Wolters Kluwer Italia

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