Articolo: Il Jobs act al Convegno di Modena – riflessioni sul futuro

articolo di approfondimento di Eufranio Massi (pubblicato sulla rivista Ipsoa Quotidiano)

IPSOA_Quotidiano

 

Dai contratti a termine all’apprendistato, dal contratto a tutele crescenti alla Garanzia Giovani ed agli incentivi per l’occupazione, dalla riforma degli ammortizzatori sociali alle prospettive di riforma dell’art. 18, dalla rivisitazione dei servizi ispettivi alle novità in materia di appalti ed al salario minimo garantito.Tutti i temi saranno affrontati durante il convegno gratuito “Jobs act in progress.
Dalla L.78/2014 alla legge delega”, organizzato dall’Università di Modena e Reggio Emilia con il supporto tecnico e scientifico del sito www.dottrinalavoro.it, che si terrà a Modena il 24 novembre 2014 presso il Forum Monzani.
Nato quasi per caso, il Convegno sul Lavoro che si svolge a Modena è giunto alla quinta edizione ed è sempre più accolto con favore dagli operatori del settore. Si pensi solo che quest’anno si sono esaurite prenotazioni in neanche 48 ore ed, inoltre, chi è comunque interessato a partecipare “a distanza” in streaming (e sono migliaia di persone) può accreditarsi su www.convegnodplmodena.it.
Dopo questa breve premessa credo che sia necessario entrare nel merito degli argomenti trattati in questa edizione: “Jobs act in progress. Dalla L. 78/2014alla legge delega” è il titolo prescelto il quale fornisce anche una plastica definizione degli argomenti.
Dai contratti a termine all’apprendistato, dal futuro contratto a tutele crescenti alla “Garanzia giovani” ed agli incentivi per l’occupazione, dalla riforma degli ammortizzatori sociali alle prospettive di riforma dell’art. 18, dalla rivisitazione dei servizi ispettivi alle novità in materia di appalti ed al salario minimo garantito (argomento importante che poca eco ha avuto sui “media” e sul quale, a tempo debito, sarà necessario effettuare una approfondita riflessione).
E’ indubbio, tuttavia, che il problema occupazionale sia quello che, nell’attuale momento, angustia di più: indubbiamente, la riforma dei servizi per l’impiego, postulata dallo stesso Jobs act, i nuovi incentivi finalizzati alle assunzioni a tempo indeterminato, contenuti nel disegno di legge di Stabilità e gli abbattimenti dei relativi costi ai fini dell’IRAP, potrebbero agevolarne la soluzione ma, per quanto buoni siano, fino a che non si creeranno nel nostro Paese, attraverso gli investimenti, la capacità di innovare e la voglia di rischio, le condizioni per riprendere la crescita, si percorrerà poca strada.
La crisi che abbiamo attraversato e dalla quale non siamo, purtroppo, ancora usciti fuori, è stata affrontata, sul “versante lavoro” anche con il ricorso a forme di flessibilità e di riduzione, sia pure parziale, del costo del lavoro, ma ciò non è stato, assolutamente, decisivo.
Parlare di incentivi all’occupazione finalizzati a favorire il ricorso alle assunzioni a tempo indeterminato, come di uno strumento, innovativo e quasi decisivo, è assolutamente fuorviante: del nostro ordinamento lavoristico, tutto si può dire ma meno che manchino agevolazioni alle assunzioni. Se si pensa a quelle destinate ai giovani, da tempo, esistono forti benefici, che sono non soltanto contributivi ed economici, ma anche normativi: è sufficiente rifarsi nell’apprendistato (a scanso di equivoci, ricordo che è un contratto a tempo determinato) ove, a fronte di una formazione “in the job” definita dalla contrattazione collettiva, ne esiste un’altra pubblica, sempre più ridotta e, ora, condizionata da scadenze, per le Regioni e le Province Autonome, sempre più perentorie.
Tutto questo accompagnato da una contribuzione sostanzialmente azzerata per tre anni nelle piccole aziende e ridotta al 10% per le altre, da un “abbattimento” della retribuzione fino a due livelli rispetto a quello finale, dalla non computabilità ai fini dell’applicazione di istituti legali o contrattuali (limiti dimensionali per l’art. 18, per l’applicabilità della normativa sui disabili, tanto per citarne alcuni) e dalla esclusione delle spese formative ai fini dell’IRAP: ebbene se tutti questi benefici, ai quali si accompagna anche la contribuzione ridotta nei dodici mesi successivi al consolidamento del rapporto dopo il periodo formativo hanno prodotto, nell’ultimo periodo, soltanto il 3,1% delle assunzioni, c’è, forse, da chiedersi il perché.
La risposta, valida soprattutto per le piccole e piccolissime aziende (potenzialmente, fruitrici di tale tipologia contrattuale) è che non si ha voglia di investire in una formazione che è intesa quale orpello burocratico ed allora ci si rivolge (e su questo l’Esecutivo dovrebbe intervenire anche attraverso forme di controllo maggiormente incisive) ad improbabili tirocini che nascondono, a costo zero, rapporti di lavoro subordinato, a prestazioni accessorie o “a chiamata” che, in molti casi (e non è questa la sede per approfondire il discorso), nascondono, al di là del rispetto formale della norma, prestazioni di “lavoro grigio” (ad esser buoni).
Parlavo di incentivi per i giovani: bisogna essere attenti a “non partorire” norme scoraggianti come è avvenuto con l’art. 1 del D.L. n. 76/2013 che doveva produrre almeno 100.000 posti e che si è rivelato un “flop” per una serie di ostacoli posti sulla strada del raggiungimento dei benefici dal rispetto pedissequo di norme comunitarie, nazionali (anche il valore incrementale da calcolare mese per mese) ed amministrative, che hanno scoraggiato chi doveva assumere (basti pensare che per spiegare un solo articolo di legge, l’INPS, sommando alla circolare esplicativa gli allegati, è arrivato a scrivere 70 pagine).
C’è, poi, in questo affastellarsi di norme in favore dell’occupazione giovanile, la c.d. “Garanzia Giovani”, attuativa di un programma europeo indirizzato, in via prevalente, agli “under 29” che non lavorano, non studiano e non sono inseriti in un circuito di formazione professionale. Ebbene, a fronte di una certa adesione al programma da parte dei giovani lavoratori (stimolata anche dalla pubblicità sui “media”), al momento, non si stanno registrando iniziative particolarmente interessanti da parte dei centri per l’impiego che vadano, nella migliore delle ipotesi, oltre l’offerta di tirocini od esperienze di volontariato: purtroppo i posti di lavoro sono ancora pochi.
I giovani che offrono la loro disponibilità ad un lavoro ai centri per l’impiego spesso lo fanno abbastanza presto cosa che consente, dopo ventiquattro mesi, di essere considerati “disoccupati di lungo periodo” e di “portare “in dote” al datore di lavoro assumente uno sgravio contributivo del 50% per tre anni che diviene totale nel Mezzogiorno e nelle imprese artigiane: ciò non sarà più possibile dal 1° gennaio 2015 in quanto la legge di Stabilità, proprio per trovare risorse economiche per sostenere lo sgravio contributivo triennale fino a 8.060 euro per tutte le assunzioni che saranno effettuate fino al prossimo 31 dicembre 2015, abrogherà l’art. 8, comma 9, della legge n. 407/1990.
Ed è proprio sul contratto a tempo indeterminato (attualmente, i rapporti con tale caratteristica non superano la percentuale del 15%) con tutele crescenti per tutte le nuove assunzioni, i cui contenuti presenti nella “bozza di delega” sono, giustamente, ancora coperti dal segreto, che l’Esecutivo giocherà gran parte della propria credibilità: assunzioni a tempo indeterminato, con forti vantaggi sotto l’aspetto dell’IRAP e con una contribuzione azzerata o fortemente ridotta per i primi trentasei mesi: ci sarà tempo e maniera per tornare su questo argomento allorquando tutte le coordinate saranno chiarite ma, al momento, si è facili profeti nel preconizzare che tale tipologia dovrebbe andare a ridurre l’impatto dei nuovi contratti a termine “notevolmente liberalizzati” dopo la legge n. 78/2014 che, nell’arco temporale dei trentasei mesi pagano la “contribuzione piena”, peraltro, maggiorata (salvo alcune eccezioni legate alle sostituzioni ed alla stagionalità) la contribuzione aggiuntiva dell’1,4%, prevista dall’art. 2 della legge n. 92/2012.
Una revisione degli incentivi finalizzati all’occupazione che si disperdono in mille rivoli, è necessaria: essa è postulata dalla stessa legge delega sul Jobs act e, a mio avviso, si rende indifferibile anche alla luce del fatto che quella più spendibile sul mercato del lavoro (mi riferisco ai benefici in favore delle assunzioni dei lavoratori in mobilità previsti dagli articoli 8 e 25 della legge n. 223/1991), cesserà di esistere, per effetto della legge “Fornero”, il prossimo 31 dicembre 2016.
Si dovrà, necessariamente, agganciare ad un serio programma di politiche attive del lavoro ed a contratti di ricollocazione facendo leva anche sulla nuova ASpI che dovrebbe avere una platea di destinatari ancora più vasta.
Revisione necessaria ed indifferibile ma, assolutamente, non decisiva sotto l’aspetto occupazionale se non sarà accompagnata da una ripresa della produzione che dovrà trovare il proprio “humus” negli investimenti pubblici e privati e nell’innovazione.

Eufranio Massi

Autore: Eufranio Massi

esperto in Diritto del Lavoro - relatore a corsi di formazione in materia di lavoro

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