Agenzia Entrate: mancanza dei requisiti per l’applicazione del regime forfetario – adempimenti del sostituto d’imposta

L’Agenzia delle Entrate, con la risposta n. 245 dell’8 marzo 2023, ha fornito alcuni chiarimenti in merito agli adempimenti del sostituto d’imposta qualora vengano meno i requisiti per l’applicazione del regime forfetario (articolo 1, comma 54, legge 23 dicembre 2014, n. 190).

 

La Risposta dell’Agenzia delle Entrate

In via preliminare si evidenzia che il parere della scrivente viene reso unicamente sulla fattispecie concreta, così come descritta dall’istante, non potendo essere accertata in questa sede l’impossibilità per l’istante di rilevare sin da subito la mancanza dei requisiti per l’applicazione del regime forfetario. Al riguardo, si rammenta che qualora in sede di attività di controllo dovessero emergere fatti e circostanze idonei a modificare lo scenario sopra descritto, il presente parere non esplicherà alcuna efficacia.

L’articolo 1, comma 54, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015), vigente ratione temporis, disponeva che, «I contribuenti persone fisiche esercenti attività d’impresa, arti o professioni applicano il regime forfetario di cui al presente comma e ai commi da 55 a 89 del presente articolo se, al contempo, nell’anno precedente:

  • hanno conseguito ricavi ovvero hanno percepito compensi, ragguagliati ad anno, non superiori a euro 65.000;
  • hanno sostenuto spese per un ammontare complessivamente non superiore ad euro 000 lordi per lavoro accessorio di cui all’articolo 70 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, per lavoratori dipendenti e per collaboratori di cui all’articolo 50, comma 1, lettere c) e c­bis), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, anche assunti secondo la modalità riconducibile a un progetto ai sensi degli articoli 61 e seguenti del citato decreto legislativo n. 276 del 2003, comprese le somme erogate sotto forma di utili da partecipazione agli associati di cui all’articolo 53, comma 2, lettera c), e le spese per prestazioni di lavoro di cui all’articolo 60 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986

Si ricorda che, la legge di bilancio 2023 [cfr. articolo 1, comma 54, lettera a) della legge 29 dicembre 2022, n. 197], a decorrere dal 1° gennaio 2023, ha innalzato, dagli originari 65.000 euro a 85.000 euro, il limite dei ricavi o compensi che consente alle persone fisiche che esercitano attività di impresa, arti e professioni, di restare nel regime forfettario.

Possono, dunque, accedere al c.d. regime forfetario, sia i contribuenti che iniziano una nuova attività di impresa, arte o professione e presumono di conseguire ricavi o compensi non superiori a 85.000 euro (65.000 euro fino al periodo d’imposta 2022),  sia coloro che già sono in attività e, nell’anno precedente all’applicazione del regime forfetario, hanno conseguito ricavi o compensi entro la soglia indicata.

Come stabilito dai successivi commi, chi applica il regime forfetario beneficia  di una serie di semplificazioni contabili, tra le quali la possibilità di non esercitare la rivalsa ai fini IVA e di non essere soggetti alla ritenuta d’acconto in relazione ai ricavi o compensi percepiti; «a tal fine occorre rilasciare un’apposita dichiarazione al sostituto dalla quale risulti che il reddito cui le somme percepite afferiscono è soggetto all’imposta sostitutiva in esame» (cfr. il comma 67).

Nella fattispecie rappresentata, per stessa ammissione dell’istante, «il collaboratore (…) ha dichiarato (…), sia nel 2021 che nel 2022, di avvalersi del regime forfetario istituito con L. n. 190/2014», ritenendo erroneamente di possedere i requisiti per l’applicazione del regime forfetario; conseguentemente, ha emesso fatture senza esercitare la rivalsa dell’IVA e senza esposizione della ritenuta d’acconto e l’istante, a sua volta, ha corrisposto i compensi maturati dal collaboratore nei periodi d’imposta 2021 e 2022, senza applicare la ritenuta d’acconto ex articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.

Secondo quanto dichiarato, l’istante è venuto a conoscenza dell’errata applicazione del regime forfetario per il 2021 e 2022 solo nel mese di novembre 2022.

Al riguardo, con le risposte ad interpelli n. 499 e 500, pubblicate il 26 novembre 2019 nell’apposita sezione del sito della scrivente, cui si rinvia per ogni approfondimento, è stato chiarito che è possibile rimediare all’indebita fruizione del regime forfetario adottando una delle seguenti modalità:

  • emettendo e trasmettendo al committente delle note di variazione in aumento, ex articolo 26, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, 633 (di seguito decreto IVA), al fine di integrare le fatture originarie con l’IVA di rivalsa (da versare all’erario) e indicare la ritenuta d’acconto;
  • emettendo e trasmettendo al committente delle note di variazione in diminuzione, ex dell’articolo 26, commi 2 e 3, del decreto IVA, a storno delle fatture originarie ed emettendo nuove fatture, in sostituzione delle precedenti, al fine di addebitare l’IVA di rivalsa (da versare all’erario) ed indicare la ritenuta d’acconto.

Tutto ciò premesso ­ nel presupposto, non verificabile in sede di interpello, che  i compensi fatturati e percepiti dal collaboratore/sostituito nel periodo d’imposta 2021, rispetto ai quali il medesimo dovrebbe aver emesso, nel 2022, una nota di variazione in aumento dell’IVA, ex articolo 26, comma 1, del decreto IVA, siano stati correttamente dichiarati dallo stesso collaboratore/sostituito (anche mediante la presentazione di una dichiarazione integrativa ai fini delle imposte sul reddito ed IVA) e siano state corrisposte le relative imposte, interessi e sanzioni (tramite ravvedimento operoso di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472) ­ si ritiene che l’istante/sostituto non debba eseguire il versamento delle ritenute d’acconto non operate, né presentare le certificazioni uniche ed il Modello 770/2022 integrativo (laddove i compensi, seppur errati, di cui si discute siano stati già riportati nei predetti modelli trasmessi all’Agenzia delle entrate).

Con riguardo ai compensi fatturati nel 2021 e nel 2022 in regime forfetario e corrisposti nel 2022, per i quali il collaboratore/sostituito dovrebbe aver già emesso note di credito a storno delle predette fatture, e riemesso fatture in regime ordinario (con esposizione di IVA e ritenuta d’acconto), si è dell’avviso che l’istante/sostituto debba operare, seppur tardivamente, le ritenute d’acconto, e versarle con la maggiorazione a titolo di interesse, nonché rilasciare la certificazione unica per il 2022 e presentare il Modello 770/2023 indicando i dati corretti.

Con specifico riferimento alle sanzioni ­ ferme restando quelle applicabili al collaboratore/sostituito per l’errata fatturazione e tardiva liquidazione e versamento dell’IVA dovuta ­ si ritiene che il medesimo sia, altresì, responsabile delle sanzioni per le ritenute non operate e non versate o versate tardivamente, conseguenti all’errata richiesta di disapplicazione delle medesime.

In tale evenienza, infatti, la responsabilità del collaboratore/sostituito non può essere esclusa (Cfr. Cass. 16 giugno 2006, n. 14033; Id., 2 aprile 2003, n. 5020; Id.,    11 agosto 2000, n. 10613), essendo responsabile ­ per effetto dell’errata dichiarazione rilasciata ­ della violazione in cui è incorso l’istante/sostituto, rispetto al quale, invece, sembra potersi applicare quanto disposto dall’articolo 6 del d.lgs. n. 472 del 1997, secondo cui «1. Se la violazione è conseguenza di errore sul fatto, l’agente non è responsabile quando l’errore non è determinato da colpa. […]».

Al riguardo, con la circolare 10 luglio 1998, n. 180/E, è stato chiarito che, «(…), l’art. 6, comma 1, esclude la responsabilità quando l’errore non è determinato da colpa. Il fattore discriminante è quindi costituito dalla causa dell’errore medesimo. Se esso dipende da imprudenza, negligenza o imperizia, non rileva ai fini dell’esclusione della responsabilità, ma se il trasgressore ha osservato la normale diligenza nella ricostruzione della realtà, l’errore in cui è incorso esclude la colpa richiesta dal precedente articolo 5. Per contro ­ si ribadisce ­ l’errore evitabile con l’uso dell’ordinaria diligenza, quella cioè che si può ragionevolmente pretendere dal soggetto agente, non influisce sulla punibilità».

Nel caso specifico, dunque, laddove effettivamente l’istante/sostituto sia in  grado di dimostrare che, osservando la normale  diligenza,  non  sarebbe  stato  in  grado di verificare che il collaboratore/sostituito era privo dei requisiti ­ peraltro dal medesimo attestati con una specifica dichiarazione ­ per applicare il regime in parola (circostanze non verificabili in sede di interpello), lo stesso può ritenersi non responsabile delle ”violazioni” innanzi descritte (omessa o tardiva esecuzione e versamento delle ritenute, trasmissione delle Certificazioni Uniche e del Modello 770 con dati errati) e, conseguentemente, delle sanzioni ad essere relative.

 

Fonte: Agenzia Entrate

La Redazione

Autore: La Redazione

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