Agenzia Entrate: Regime Impatriati – smart working in Italia per conto di datore di lavoro estero 2

L’Agenzia delle Entrate, con la risposta n. 157 del 25 marzo 2022, ha fornito alcuni chiarimenti in merito alla possibilità di beneficiare del regime fiscale agevolato previsto per i lavoratori impatriati, di cui all’articolo 16 del decreto legislativo n. 147 del 2015, per i redditi di lavoro dipendente prodotti in Italia tramite prestazione di lavoro dipendente in modalità remote working da Regione del sud Italia per conto di datore di lavoro con sede all’estero.

Sull’argomento l’Agenzia era intervenuta anche con la risposta n. 55 del 31 gennaio 2022.


La risposta n. 157/2022 dell’Agenzia delle Entrate

L’articolo 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147 ha introdotto il ” regime speciale per lavoratori impatriati“. La citata disposizione è stata oggetto di modifiche normative, operate dall’articolo 5 del decreto-legge 30 aprile 2019, n.    34 (convertito dalla legge 28 giugno 2019, n. 58), in vigore dal 1° maggio 2019, che trovano applicazione, ai sensi del comma 2 del citato articolo 5 del decreto legge n. 34 del 2019, come modificato dall’articolo 13-ter, comma 1, del decreto legge 26  ottobre 2019, n. 124, convertito dalla legge 19 dicembre 2019, n. 157 “a partire dal periodo d’imposta in corso, ai soggetti che a decorrere dal 30 aprile 2019 trasferiscono la residenza in Italia ai sensi dell’articolo 2 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e risultano beneficiari del regime previsto dall’articolo 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147“.

Per fruire del trattamento di cui all’articolo 16 del decreto internazionalizzazione, come modificato dal decreto crescita, è necessario, ai sensi del comma 1, che il lavoratore:

  1. trasferisca la residenza nel territorio dello Stato ai sensi dell’articolo 2 del TUIR;
  2. non sia stato residente in Italia nei due periodi d’imposta antecedenti al trasferimento e si impegni a risiedere in Italia per almeno 2 anni;
  3. svolga l’attività lavorativa prevalentemente nel territorio

In base al successivo comma 2, il cui contenuto è rimasto immutato rispetto alla versione dell’articolo 16 in vigore fino al 30 aprile 2019, sono destinatari del beneficio fiscale in esame, inoltre, i cittadini dell’Unione europea o di uno Stato extra UE con il quale risulti in vigore una Convenzione contro le doppie imposizioni o un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale che:

  1. sono in possesso di un titolo di laurea e abbiano svolto “continuativamente” un’attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o di impresa fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, ovvero
  2. abbiano svolto “continuativamente” un’attività di studio fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, conseguendo un titolo di laurea o una specializzazione post lauream.

L’agevolazione in esame è fruibile dai contribuenti per un quinquennio a decorrere dal periodo di imposta in cui trasferiscono la residenza fiscale in Italia, ai sensi dell’articolo 2  del TUIR, e  per i  quattro periodi di imposta successivi (cfr. articolo 16, comma 3, decreto legislativo n. 147 del 2015).

Per accedere al regime speciale, il citato articolo 16 presuppone, inoltre, che il soggetto non sia stato residente in Italia per due periodi di imposta precedenti il rientro.

In relazione alle modifiche normative che hanno ridisegnato il perimetro di applicazione del suddetto regime agevolativo a partire dal periodo di imposta 2019, con particolare riferimento ai requisiti soggettivi ed oggettivi per accedere all’agevolazione, ai presupposti per accedere all’ulteriore quinquennio agevolabile, all’ambito temporale di applicazione della sopra richiamata disposizione, alle modifiche normative concernenti il requisito dell’iscrizione all’anagrafe degli Italiani residenti all’estero (c.d. AIRE) per fruire dell’agevolazione fiscale in esame sono stati forniti puntuali chiarimenti con la circolare del 28 dicembre 2020 n. 33/E, cui si rinvia per una completa disamina degli aspetti di carattere generale della normativa in esame. In particolare, con la richiamata circolare, è stato precisato che con l’articolo 16, comma 3-bis del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147 (di seguito, decreto Internazionalizzazione), come inserito dall’articolo 5, comma 1, lettera c), decreto Crescita, il Legislatore ha introdotto un’estensione temporale del beneficio fiscale ad ulteriori cinque periodi di imposta, con tassazione nella misura del 50 per cento del reddito imponibile, in presenza di specifici requisiti quali, alternativamente:

  • l’avere almeno un figlio minorenne o a carico, anche in affido preadottivo; oppure,
  • l’acquisto di un’unità immobiliare di tipo residenziale in Italia direttamente da parte del lavoratore oppure da parte del coniuge, del convivente o dei figli, anche in comproprietà.

Tale ultima ipotesi deve realizzarsi «successivamente al trasferimento in Italia o nei dodici mesi precedenti al trasferimento».

La percentuale di tassazione dei redditi agevolabili prodotti nel territorio dello Stato negli ulteriori cinque periodi d’imposta si riduce al 10 per cento se il soggetto ha almeno tre figli minorenni o a carico.

Inoltre, secondo quanto previsto dall’articolo 16, comma 5-bis del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147, in caso di trasferimento della residenza in alcune Regioni del centro e sud Italia – ovvero Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna, Sicilia – la percentuale del 30 per cento del reddito di lavoro dipendente e assimilati, di lavoro autonomo o di impresa prodotti nel territorio dello Stato, che concorrono alla formazione del reddito complessivo, si riduce al 10 per cento.

Come chiarito nella succitata circolare 33/E del 2020, la nozione di “residenza” a cui la disposizione fa riferimento è quella civilistica, ovvero il luogo in cui la persona ha la dimora abituale, che coincide con quello dove il soggetto normalmente abita. Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, la nozione civilistica di residenza consiste in una situazione di fatto che presuppone l’esistenza di un duplice requisito, oggettivo e soggettivo, ovvero la permanenza in un determinato luogo e l’intenzione di abitarvi in modo stabile.

La medesima circolare specifica altresì che la suddetta condizione deve verificarsi a partire dal periodo di imposta in cui il contribuente trasferisce la residenza dall’estero in una delle suddette Regioni e permanere per tutto il periodo di fruizione dell’agevolazione.

Per quanto relativo, infine, al caso di datore di lavoro non residente come quello in esame, al paragrafo 7.5 della circolare n. 33/E del 2020 viene precisato che il citato articolo 16, come modificato dall’articolo 5, comma 1, del decreto legge n. 34 del 2019, non richiede che l’attività sia svolta per un’impresa operante sul territorio dello Stato, pertanto, possono accedere all’agevolazione i soggetti che vengono a svolgere in Italia attività di lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro con sede all’estero, o i cui committenti (in caso di lavoro autonomo o di impresa) siano stranieri (non residenti).

Con specifico riferimento, da ultimo, ai fruitori cittadini stranieri il successivo paragrafo 7.12 del medesimo documento di prassi chiarisce che, mentre ai sensi del comma 2 dell’articolo 16 sopra citato possono accedere al regime degli impatriati i cittadini dell’Unione europea o di uno Stato extra UE con il quale risulti in vigore una Convenzione contro le doppie imposizioni o un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale, il comma 1 non pone alcun tipo di limitazioni al riguardo, con la conseguenza che tutti i lavoratori che rispondono alle caratteristiche delineate dalla norma, indipendentemente dalla loro cittadinanza, possono accedere al regime in esame.

Sulla base di quanto sinora esposto, si ritiene che l’Istante, laddove risultino soddisfatti tutti i requisiti richiesti dalla norma in esame, non oggetto di verifica in sede di interpello, rientri tra i beneficiari dell’agevolazione fiscale di cui al comma 1 dell’articolo 16 del decreto legislativo n. 147 del 2015 con riferimento ai redditi di lavoro dipendente prodotti in Italia a decorrere dall’annualità 2020, in cui egli ha trasferito la propria residenza fiscale, e per i successivi quattro periodi di imposta, con tassazione nella misura ridotta del 10 per cento, secondo quanto previsto dal comma 5- bis del citato articolo 16 per i soggetti trasferitisi in una Regione tra Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna, Sicilia.

Nel caso di specie, inoltre, stante la presenza di figli minorenni riferita dall’ Istante e nel presupposto che sussistano tutte le altre condizioni richiesta dalla norma, egli potrà fruire altresì della proroga per ulteriori cinque periodi d’imposta dell’agevolazione in argomento, con tassazione del reddito agevolato nella misura ridotta del 50 per cento, secondo quanto previsto dal comma 3-bis del medesimo articolo 16.

Con riferimento alle modalità di fruizione dell’agevolazione, la citata circolare n. 33/E del 2020, al paragrafo 6, chiarisce che per beneficiare del regime agevolativo in esame, il lavoratore deve presentare una richiesta scritta al datore di lavoro, il quale applica il beneficio dal periodo di paga successivo alla richiesta e, in sede di conguaglio, dalla data dell’assunzione, mediante applicazione delle ritenute sull’imponibile ridotto alla percentuale di reddito tassabile. Viene, inoltre, precisato che nelle ipotesi in cui il datore di lavoro “non abbia potuto” riconoscere l’agevolazione, il contribuente può fruirne, in presenza dei requisiti previsti dalla legge, direttamente nella dichiarazione dei redditi, indicando il reddito di lavoro dipendente già nella misura ridotta. Tale situazione si verifica, tra l’altro, nel caso in  cui il datore di lavoro estero non assume la qualifica di sostituto d’imposta ai sensi dell’articolo 23 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.

Come precisato, al riguardo, nella circolare del Ministero delle Finanze 23 dicembre 1997, n. 326, paragrafo 3.1, tranne il caso di una stabile organizzazione o base fissa in Italia, gli enti e le società non residenti non assumono la qualifica di sostituto d’imposta e, pertanto, non sono tenuti ad applicare le ritenute sui corrispettivi erogati ai propri dipendenti in Italia. Le società non residenti, infatti, seppur ricomprese, sotto il profilo soggettivo, fra i soggetti indicati al primo comma del citato articolo 23 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, in linea di principio, ne sono oggettivamente escluse in ragione della delimitazione territoriale della potestà tributaria dello Stato.

Ne consegue pertanto che, nell’ipotesi sopra descritta, l’Istante potrà fruire dell’agevolazione direttamente nella dichiarazione dei redditi, compilando la casella ” casi particolari” del quadro C del modello 730 o RC del modello Redditi PF relativo  ai redditi per lavoro dipendente e assimilati e indicando il reddito di lavoro dipendente nei righi corrispondenti già nella misura ridotta.

Resta fermo che la verifica della sussistenza dei presupposti per stabilire l’effettiva residenza fiscale di un soggetto riguarda elementi di fatto che, come precisato con circolare n. 9/E del 1° aprile 2016, non possono essere oggetto di istanza di interpello ai sensi dell’articolo 11 della legge n. 212 del 2000 ma sono riscontrabili solo in sede di accertamento. Sui predetti aspetti, pertanto, rimane fermo ogni potere di controllo dell’amministrazione finanziaria.

 

 

 

Fonte: Agenzia Entrate

La Redazione

Autore: La Redazione

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