Articolo: Il licenziamento per giustificato motivo e giusta causa per i nuovi assunti

articolo di approfondimento di Eufranio Massi per Generazione Vincente

Generazione Vincente

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Mentre il Decreto Legislativo sul contratto a tutele crescenti sta percorrendo la strada parlamentare (è stato presentato alle Camere per il parere che dovrà essere espresso entro trenta giorni, il 12 gennaio 2015), ritengo opportuna una riflessione sul testo contenuto nell’art. 3 che tratta i licenziamenti per giustificato motivo e per giusta causa relativamente ai “nuovi assunti” che, ricordo, saranno coloro che troveranno un’occupazione a tempo indeterminato dal giorno in cui il provvedimento (presumibilmente, intorno al 20 febbraio p.v.) andrà in Gazzetta Ufficiale.

Qui, come vedremo, le differenze tra le tutele dei dipendenti già in forza e quelli nuovi sono notevoli. Cominciamo da questi ultimi.

Nelle ipotesi in cui riscontri (art. 3, comma 1) che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo (ad esempio, mancata soppressione del posto di lavoro, mancato repechage, ecc.), o di natura disciplinare (notevole inadempimento nella prestazione lavorativa) o giusta causa (quella che non consente la continuazione, neanche provvisoria, del rapporto di lavoro), il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di una indennità risarcitoria, non assoggettata ad alcuna contribuzione, pari a due mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio, in misura non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità. Il limite minimo delle quattro mensilità rappresenta un deterrente nei confronti dei datori di lavoro che una volta ottenuto l’esonero contributivo per l’assunzione di un lavoratore a tempo indeterminato a tutele crescenti (per un massimo di 8.060 euro sulla quota contributiva a loro carico, riconosciuta per tre anni, limitatamente ai rapporti di lavoro instaurati nel 2015), intendessero risolvere il rapporto “ante tempus”, magari lucrando sulla riduzione contributiva. La dizione normativa fa sì che nell’ipotesi appena considerata rientrino ipotesi di risoluzione del rapporto anche caratterizzate da una sostanziale sproporzione tra ciò che è stato accertato e la sanzione espulsiva applicata….continua la lettura

Eufranio Massi

Autore: Eufranio Massi

esperto in Diritto del Lavoro - relatore a corsi di formazione in materia di lavoro

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