Articolo: Le causali sostitutive nei contratti a Tempo determinato

approfondimento di Eufranio Massi per il n. 141 della rivista “Il Mondo del consulente”.

  

LE CAUSALI SOSTITUTIVE NEI CONTRATTI A TEMPO DETERMINATO

La riscrittura delle causali concernenti i contratti a tempo determinato e la somministrazione a termine hanno, significativamente, cambiato il panorama lavoristico disegnato dal c.d. “Decreto Dignità” e, sotto questo aspetto, l’intendimento del Legislatore che era quello di tornare ad allentare la normativa delle condizioni da apporre a tali rapporti, ha raggiunto l’obiettivo, individuando, come fonti, “in primis” la contrattazione collettiva, anche aziendale, sottoscritta dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale o dalle “loro” RSA o dalla RSU secondo l’ampia descrizione fornita dall’art. 51 del D.L.vo n. 81/2015: a queste, in mancanza della pattuizione collettiva (che, al momento, non è sembrata particolarmente celere) ma, fino al 30 aprile 2024, le parti (“rectius” il datore che conosce la realtà della propria azienda) possono definire specifiche esigenze tecniche, organizzative e produttive. Sussiste, poi, una terza fonte che è data dalla possibilità di sostituire altri lavoratori, rispetto alla quale, sulla scorta anche delle indicazioni fornite dalla circolare del Ministero del Lavoro n. 9 del 9 ottobre, intendo effettuare alcune riflessioni.

Le causali sostitutive sono presenti nel nostro ordinamento sin dalla legge n. 230/1962 che, peraltro, le limitava, unicamente, ai lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto e con una serie di vincoli anche di natura temporale legati al superamento, pure di un giorno, del termina finale, cosa che comportava la trasformazione del rapporto in contratto a tempo indeterminato. Nel tempo il campo di applicazione si è sempre più allargato anche ad assenze non legate ad esigenze sostitutive ed inoltre, a livello giurisprudenziale, è stata ammesso il c.d. “scorrimento” attraverso il quale le mansioni svolte dal sostituto sono quelle di un altro lavoratore che è andato a sostituire il collega assente.

Ma, cosa afferma, sul punto la circolare n. 9?

Partendo dalla constatazione che l’attuale formulazione è parzialmente diversa, da un punto di vista letterale, rispetto a quella introdotta dal D.L. n. 87/2018 ove si parlava di “esigenze di sostituzione di altri lavoratori”, si sottolinea come incomba sul datore di lavoro l’onere di precisare nel contratto le ragioni concrete ed effettive della sostituzione: ciò, come vedremo, assume particolare importanza  nell’ottica di un possibile contenzioso ove, per il giudice, la circolare rappresenta una mera, sia pure importante, interpretazione amministrativa che non è assolutamente vincolante.

La possibilità di assumere in sostituzione dipendenti assenti, che può avvenire anche con un orario ridotto rispetto al titolare o alla titolare del posto, è ad ampio raggio e comprende, senz’altro, alcune casistiche particolari legate ad un’assenza dovuta per l’invio in trasferta dell’interessato o per un distacco temporaneo ai sensi dell’art. 30 del D.L.vo n. 276/2003. Ovviamente il limite massimo di sostituzione, per non rischiare la trasformazione del rapporto in contratto a tempo indeterminato, è di 24 mesi. La nota del Dicastero del Lavoro ricorda comunque che l’ampia portata della norma si arresta a fronte della sostituzione dei lavoratori che esercitano il diritto di sciopero, come ricorda, l’art. 20, comma 1, del D.L.vo n. 81/2015.

Tale ultima precisazione non è, però, completa, atteso che anche altre situazioni impediscono l’instaurazione del contratto a tempo determinato e di cui parla il medesimo comma 1 dell’art. 20 appena citato. Mi riferisco:

  1. Al divieto di stipula di contratti a termine in unità produttive ove, nei 6 mesi antecedenti si è proceduto a licenziamenti collettivi che hanno interessato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto, salvo che lo stesso non riguardi la sostituzione di lavoratori assenti o abbia una durata iniziale non superiore a 3 mesi;
  2. Al divieto di stipula nelle unità produttive ove, in regime di integrazione salariale, sussiste una sospensione dal lavoro o una riduzione di orario che riguardino lavoratori adibiti alle stesse mansioni;
  3. Al divieto che interviene sui datori di lavoro che non hanno effettuato la valutazione dei rischi.

Tutte queste violazioni, compresa quella citata nella circolare n. 9, comportano la trasformazione del rapporto a termine in contratto a tempo indeterminato, rilevabile anche a seguito di accesso ispettivo degli organi di vigilanza dell’Ispettorato del Lavoro.

La nota del Ministero sottolinea come la individuazione della ragione della sostituzione si renda oltre modo necessaria in tutte quelle ipotesi nelle quali il datore fruisce di benefici previsti da norme particolari come quella prevista per le aziende che occupano meno di 20 dipendenti, dai commi 3 e 4 dell’art. 4 del D.L.vo n. 151/2001, allorquando la sostituzione avviene per maternità.

Fin qui il Ministero del Lavoro: ma la necessità di una correlazione tra il contratto e l’assenza del titolare del posto che deve emergere dalla condizione apposta nella lettera di assunzione rappresenta un costante indirizzo giurisprudenziale, pur se, taluni chiedono di non inserire il nome del sostituto nel contratto, per rispetto della normativa sulla privacy. Il nome può anche essere omesso (personalmente, lo inserirei sempre) ma occorre, necessariamente, scrivere in maniera precisa e puntuale le ragioni sostitutive, così da permettere ogni verifica a fondamento del contratto.

La conseguenza che scaturisce da una causale sostitutiva non ben evidenziata anche in relazione alla temporaneità e la assoluta mancanza di qualsiasi correlazione, anche indiretta, come nel caso dello “scorrimento”, con la persona sostituita, potrebbe portare a considerare il rapporto a tempo indeterminato, cosa che potrebbe comportare costi non indifferenti per il datore.

Faccio questo ragionamento perché, sovente, si ritiene che la causale sostitutiva sia, mi si passi la parola, figlia di “un Dio minore”, rispetto alle altre condizioni previste dalla contrattazione collettiva o dalle parti per esigenze tecnico, produttive ed organizzative ove la declinazione delle stesse nella loro specificità, è una sorta di obbligo, anche alla luce delle precedenti decisioni giurisprudenziali nate, negli anni passati, sull’abbrivio del D.L.vo n. 368/2001, ora abrogato, che portarono a risarcimenti del danno ed a conversioni a tempo indeterminato dei rapporti.

Eufranio MASSI

 

 

Eufranio Massi

Autore: Eufranio Massi

esperto in Diritto del Lavoro - relatore a corsi di formazione in materia di lavoro

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