Articolo: Le dimissioni per fatti concludenti
approfondimento di Eufranio Massi per il n. 150 della rivista “Il Mondo del consulente”.
LE DIMISSIONI PER FATTI CONCLUDENTI
Negli anni trascorsi la mancata utilizzazione della procedura telematica prevista dalla legge da parte di diversi lavoratori dimissionari, era stata vista da molti datori di lavoro e dai professionisti che li assistono, come una sorta di ingiustizia alla quale non ci si poteva opporre, anche perché l’unica strada per interrompere il rapporto con il lavoratore dimissionario “per fatti concludenti” era quella del licenziamento al termine dell’apposita procedura e, soprattutto, il pagamento del contributo di ingresso alla NASPI.
Dal 12 gennaio 2025, con l’entrata in vigore della legge n. 203/2024 le dimissioni per fatti concludenti sono nuovamente disciplinate nel nostro ordinamento e si accompagnano a quelle per le quali l’art. 26 del D.L.vo n. 151/2015 e il successivo D.M. applicativo prevedono la procedura telematica, la quale ultima non è seguita in alcune specifiche ipotesi come, ad esempio, per i lavoratori in congedo di maternità o paternità fino ad un anno dalla nascita del bambino, per coloro che si dimettono entro i 3 anni dalla nascita (entrambe le procedure, con effetti diversi, si svolgono avanti ad un funzionario dell’Ispettorato territoriale del Lavoro), e per le dimissioni o le risoluzioni consensuali avvenute ex art. 7 della legge n. 604/1966.
Negli anni appena trascorsi alcuni giudici di merito come, ad esempio, il Tribunale di Udine con la sentenza n. 20 del 2022 avevano trovato, anche con motivazioni plausibili la strada per ammettere la “sopravvivenza” delle dimissioni di fatto pur in presenza della procedura telematica, ma la Corte di Cassazione nel 2023 con sentenza n. 27331 aveva stabilito che l’unica strada percorribile per proporre le proprie dimissioni fosse soltanto quella definita ex art. 26, comma 7, del D.L.vo n. 151/2015.
Ma, come si è giunti alla modifica normativa?
Ciò è avvenuto attraverso un nuovo comma, il 7-bis, all’interno dell’art. 26 con il quale si stabilisce che in caso di assenza ingiustificata protratta oltre i termini previsti dal CCNL o, in mancanza di previsione contrattuale, per un periodo superiore a 15 giorni, il rapporto si intende risolto per volontà del dipendente e senza attivazione della procedura telematica: non occorre attendere l’eventuale verifica dell’Ispettorato territoriale del Lavoro che viene obbligatoriamente interessato dal datore di lavoro attraverso una comunicazione. Infatti, l’organo di vigilanza può fare accertamenti ma non ha l’obbligo di effettuarli.
La risoluzione del rapporto non avviene se il lavoratore dimostra l’impossibilità di comunicare l’assenza per causa di forza maggiore o per fatto ascrivibile al datore di lavoro: in quest’ultimo caso, l’onere della prova ricade sul lavoratore.
Alcuni passaggi della disposizione vanno, necessariamente, esaminati.
Prima di procedere alla comunicazione di “dimissioni per fatti concludenti” il datore deve verificare quanti sono i giorni di assenza ingiustificata previsti nel CCNL applicato; essi non sono uguali in tutti i settori (ad esempio, il CCNL metalmeccanici del settore industria parla di assenza protratta per oltre 4 giorni da intendersi come lavorativi). Nel caso in cui la contrattazione collettiva non dovesse dire nulla occorrerà attendere almeno 16 giorni. Il datore di lavoro non ha alcun obbligo di comunicare all’ex dipendente all’ultimo indirizzo conosciuto l’avvenuta risoluzione del rapporto per dimissioni dovute a fatti concludenti. L’unico suo obbligo consiste nella informativa all’ITL con l’indicazione del nominativo, della residenza conosciuta e di eventuali altri recapiti del lavoratore a sua conoscenza.
E’ opportuno precisare, a scanso di qualsiasi equivoco, che qui si sta parlando di assenza ingiustificata di un lavoratore che non ha comunicato nulla e non di una assenza dal lavoro del dipendente con giustificazioni, non accettate dal datore, per la quale, invece, occorre instaurare un provvedimento di natura disciplinare con tutte le garanzie previste sia dall’art. 7 della legge n. 300/1970 che dal CCNL.
C’è, poi, da verificare il ruolo dell’Ispettorato del Lavoro.
L’Ispettorato Nazionale del Lavoro con nota n. 9740 del 30 dicembre 2024 ha fornito le prime indicazioni alle proprie articolazioni periferiche. Si tratta di indicazioni puramente descrittive e ripetitive delle nuove norme e sul punto di competenza si riserva di “fornire indicazioni dettagliate riferite alla attività degli Ispettorati territoriali del Lavoro, i quali possono verificare la veridicità della comunicazione effettuata dai datori di lavoro concernente l’assenza ingiustificata del lavoratore”.
In attesa di una eventuale procedura telematica, ritengo che, nelle more, la comunicazione all’ITL possa essere effettuata con PEC o con lettera raccomandata.
Sicuramente l’INL fornirà precise indicazioni ma mi pongo, da subito, alcune precise domande che provo a sintetizzare:
- L’ispettore dovrà cercare il lavoratore per accertarsi che le dimissioni, non effettuate con la usuale procedura, siano avvenute volontariamente?
- E, se dovesse venire a conoscenza che il lavoratore è rimasto a casa perché il datore, titolare di una piccolissima realtà, gli ha detto di non presentarsi più in azienda, quale potere ha per ricostituire il rapporto?
La norma ha previsto per gli ispettori del lavoro una facoltà di intervento (che, tra l’altro, sono impegnati, sul campo, per incombenze, obbligatorie, ben più importanti) ma non ha concesso poteri ulteriori. Di conseguenza, il funzionario potrà consigliare di impugnare il licenziamento orale (se di questo si tratta), di effettuare un tentativo di conciliazione, di sporgere denuncia presso l’ITL e, magari, di tentare, in quella sede, un tentativo di conciliazione. Non mi sembra, attivabile, nel caso di specie il provvedimento di disposizione previsto dal D.L.vo n. 124/2004.
Quali sono le conseguenze delle dimissioni per fatti concludenti?
Il datore non pagherà più il ticket di ingresso alla NASPI che, per una anzianità aziendale di almeno 3 anni, va oltre i 1900 euro, e potrà trattenere, all’atto della erogazione delle competenze di fine rapporto, l’indennità di mancato preavviso se, appunto, non dovesse essere stato lavorato.
Il lavoratore, essendo dimissionario e non licenziato non potrà fruire del trattamento di NASPI.
Per completezza di informazione, ricordo inoltre che con l’art. 1, comma 171 della n. 207/2024 (legge di bilancio per il 2025) si è intervenuti sui requisiti necessari per la fruizione della NASPI ed è stato previsto al nuovo comma c-bis inserito nell’art. 3 del D.L.vo n. 22/2015, che in caso di reimpiego di un lavoratore dimissionario per fatti concludenti con successivo licenziamento il requisito delle 13 settimane di versamenti contributivi, necessario per la richiesta della indennità di disoccupazione, deve essere maturato durante il nuovo rapporto di lavoro, a differenza della regola generale ove si fa riferimento al quadriennio precedente la richiesta di NASPI. Si è voluto, nella sostanza, punire chi, dopo le dimissioni per fatti concludenti (che non portano alla fruizione del trattamento), viene assunto da un datore di lavoro “compiacente” e licenziato pochi giorni dopo.
Una breve considerazione a commento del comma 171 dell’art. 1 della legge di bilancio: il comportamento elusivo delle regole sulle dimissioni va combattuto, ma con tale disposizione si va a colpire anche chi, dopo le dimissioni per fatti concludenti, è stato semplicemente sfortunato nella nuova occasione di lavoro tanto da essere licenziato nei primi 3 mesi di contratto.
Eufranio MASSI