Articolo: Trasferimento del lavoratore

approfondimento di Vincenzo Meleca – Avvocato

 

Estratto dal n. 6/2015 di Diritto & Pratica del Lavoro (Settimanale IPSOA)

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Diritto_pratica_lavoroNell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, il lavoratore può essere soggetto al mutamento della propria sede di lavoro, in base al potere direttivo che la legge, con l’articolo 2086 del codice civile, affida al datore di lavoro.
Questo potere si estrinseca sostanzialmente nelle tre modalità gestionali che costituiscono la cosiddetta “mobilità geografica del lavoratore”, l’invio in trasferta (o missione), il distacco ed il trasferimento, laddove le prime due hanno carattere di temporaneità, mentre la terza costituisce una modifica definitiva della sede di lavoro.
Prima però di affrontare gli aspetti specifici del trasferimento, è importante cercare di chiarire cosa si intende esattamente per “sede di lavoro”.
Il punto di partenza: la sede di lavoro
Come vedremo anche a proposito del trasferimento, non vi sono norme di legge che definiscano esattamente ed in modo generale cos’è la «sede» di lavoro, punto geografico-giuridico di tutta importanza ai fini del nostro argomento.
Va altresì rilevato come il legislatore, per attribuire diritti ed obblighi delle parti contraenti un rapporto di lavoro, abbia spesso utilizzato termini diversi, come ad esempio «posto di lavoro» (art. 18 Legge n. 300/1970 e vari articoli del D.Lgs. n. 81/2008), «luogo di lavoro» (art. 1 D.Lgs. n. 152/1997), «sede di lavoro» (art. 51 D.P.R. n. 917/1986 e art. 33 Legge n. 104/1992), «unità produttiva» (art. 2103 cod. civ. e art. 22 Legge n.  300/1970).
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Autore: Wolters Kluwer Italia

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