ConfprofessioniLavoro: L’Orario di Lavoro negli Studi Professionali (focus sul Ccnl)

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“Il Ccnl degli studi professionali dedica il proprio titolo XV (artt. 73-76) alla disciplina dell’orario di lavoro. Il rapporto di lavoro subordinato è infatti per sua natura un rapporto di durata, la cui regolamentazione non può prescindere dalla definizione della dimensione temporale. Inoltre, come evidenziato da una consolidata giurisprudenza, l’assoggettamento di un lavoratore ad un orario di lavoro, determinato o determinabile, costituisce uno dei principali indici della sussistenza del vincolo di subordinazione.
Le parti del rapporto individuale di lavoro non sono però completamente libere di concordare l’organizzazione dell’orario, ma devono attenersi alle norme di origine costituzionale, legislativa e collettiva che presidiano la materia a garanzia dell’integrità psico-fisica e della conciliazione vita-lavoro del dipendente. In particolare, l’art. 36, comma 2, Cost. pone una riserva di legge per la definizione della durata massima della giornata lavorativa, mentre l’art. 2107 c.c. afferma che “la durata giornaliera e settimanale della prestazione di lavoro non può superare i limiti stabiliti dalle leggi speciali”. Il tema è ora disciplinato integralmente dal d.lgs. n. 66/2003, che ha dato attuazione alla direttiva 93/104/CE, così come modificata dalla direttiva 2000/34/CE.

Tuttavia, un ruolo importante nella definizione dei tempi di lavoro è riservato alla contrattazione collettiva, alla quale la maggior parte delle disposizioni contenute nel d.lgs. n. 66/2003 demanda la facoltà di modificare e/o integrare il precetto legale, con l’intento di incentivare l’utilizzo della flessibilità oraria ed organizzativa quale strumento per far fronte alle diverse esigenze produttive.

Orario normale settimanale

L’art. 73, comma 1 del Ccnl degli studi professionali rinvia la definizione di orario di lavoro a quanto disposto dall’art. 1 comma 2 del d.lgs. n. 66/2003, che, alla lettera a, si riferisce a “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio delle sue funzioni”.
La nozione adottata dal legislatore delegato ricomprende non solo il tempo necessario a svolgere la prestazione lavorativa in senso stretto, ma anche quello in cui il lavoratore esegue tutte quelle attività complementari e preparatorie all’adempimento principale, ponendo le proprie energie psico-fisiche al servizio del datore di lavoro. Allo stesso modo, sono inclusi nella definizione anche i periodi in cui il dipendente, pur non essendo effettivamente impegnato in alcuna attività lavorativa specifica, è comunque presente nel posto in cui deve prestare la propria opera e non può allontanarvisi in ragione dell’obbligo di disponibilità. In altri termini, sono riconducibili all’orario di lavoro tutti i periodi in cui il prestatore sia a disposizione del datore di lavoro e assoggettato al suo potere organizzativo e direttivo. Viceversa, è considerato “periodo di riposo”, non rilevante ai fini del calcolo della durata massima della prestazione lavorativa, qualsiasi lasso temporale in cui il prestatore non sia a disposizione del datore, né assoggettato al suo potere organizzativo e direttivo, e goda, quindi, di un certo margine di autonomia (es. tempo impiegato per recarsi al lavoro dalla propria abitazione, malattia, ferie, congedi, permessi ecc.).

Il Ccnl degli studi professionali fissa in 40 ore la durata normale dell’orario settimanale, vale a dire il limite oltre il quale le ore di lavoro cessano di essere ordinarie e divengono straordinarie (fatta salva l’applicazione della flessibilità di orario di cui al paragrafo successivo). Si assume come parametro di riferimento la settimana del calendario civile, dal lunedì alla domenica.

Le parti sociali non colgono la facoltà conferitagli dall’art. 3 del d.lgs. n. 66/2003, il quale prevede che i contratti collettivi di lavoro possano stabilire una durata minore rispetto a quella normale settimanale di 40 ore. Per i dipendenti degli studi professionali, dunque, l’orario normale di lavoro contrattuale coincide con quello legale.” continua la lettura dell’articolo

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Autore: Confprofessionilavoro

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