Consulta: bocciata la “maxisanzione” del 2006 sul lavoro nero

corte-costituzionaleCon sentenza n. 254 del 13 novembre 2014 pdf_icon, la Corte Costituzionale ha ritenuto illegittimo, in quanto contrastante con l’articolo 3 della Costituzione, l’art. 36-bis, c. 7, lett. a), del Decreto Legge n. 223 del 4 luglio 2006,  (convertito della legge n. 248 del 4 agosto 2006), nella parte in cui stabilisce: “L’importo delle sanzioni civili connesse all’omesso versamento dei contributi e premi riferiti a ciascun lavoratore di cui al periodo precedente non può essere inferiore a euro 3.000, indipendentemente dalla durata della prestazione lavorativa accertata“.

In altri termini, poiché le sanzioni civili connesse all’omesso versamento di contributi e premi hanno una funzione essenzialmente risarcitoria, essendo volte a quantificare, in via preventiva e forfettaria, il danno subito dall’ente previdenziale, la previsione di una soglia minima disancorata dalla durata della prestazione lavorativa accertata, dalla quale dipende l’entità dell’inadempimento contributivo e del relativo danno, è irragionevole.

Nella stessa sentenza, i giudici hanno ritenuto non fondata la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 29, comma 2, del D.L.vo 276/2’003, prima delle modifiche apportate dal Decreto Legge n. 5/2012, riconrepdeva nell’oggetto dell’obbligazione solidale gravante sul committente in caso di appalto anche le sanzioni civili connesse all’inadempimento contributivo dell’appaltatore-datore di lavoro.

 

Fonte: Corte Costituzionale

 


 

 

SENTENZA N. 254

ANNO 2014

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 29, comma 2, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30), come modificato dall’art. 1, comma 911, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), in relazione all’art. 21 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo), modificato dalla legge di conversione 4 aprile 2012, n. 35; dell’art. 36-bis, comma 7, lettera a), del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonchè interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 4 agosto 2006, n. 248, modificativo dell’art. 3, comma 3, del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12 (Disposizioni urgenti per il completamento delle operazioni di emersione di attività detenute all’estero e di lavoro irregolare), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 aprile 2002, n. 73, in relazione all’art. 4, comma 1, lettera a), della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro), promosso dal Tribunale di Bologna, sezione lavoro, nel procedimento vertente tra la Corticella Molini e Pastifici spa e l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) ed altri, con ordinanza del 28 maggio 2012, iscritta al n. 289 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, prima serie speciale, dell’anno 2013.

Visto l’atto di costituzione dell’INPS, in proprio e n.q. di mandatario della Società di cartolarizzazione dei crediti INPS, SCCI spa, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 7 ottobre 2014 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi;

uditi l’avvocato Carla d’Aloisio per l’INPS, in proprio e n.q. di mandatario della Società di cartolarizzazione dei crediti INPS, SCCI spa, e l’avvocato dello Stato Gesualdo d’Elia per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

 

Ritenuto in fatto

1.– Il Tribunale di Bologna, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 28 maggio 2012 (r.o. n. 289 del 2012), ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 29, comma 2, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30), come modificato dall’art. 1, comma 911, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), in relazione all’art. 21 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 4 aprile 2012, n. 35, «nella parte in cui prevede che la responsabilità solidale dell’appaltante, in caso di omesso versamento da parte dell’appaltatore dei contributi previdenziali, comprenda anche il debito per le sanzioni civili o somme aggiuntive».

Con la medesima ordinanza, il Tribunale di Bologna ha sollevato, sempre in riferimento all’art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 36-bis, comma 7, lettera a), del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonchè interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 4 agosto 2006, n. 248, che ha modificato l’art. 3, comma 3, del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12 (Disposizioni urgenti per il completamento delle operazioni di emersione di attività detenute all’estero e di lavoro irregolare), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge del 23 aprile 2002, n. 73, in relazione all’art. 4, comma 1, lettera a), della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro), «nella parte in cui ha previsto, nel caso di impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria, una sanzione civile, connessa all’omesso versamento dei contributi e premi riferita a ciascun lavoratore non inferiore ad euro 3.000,00 indipendentemente dalla durata della prestazione lavorativa accertata».

Il giudice a quo premette di essere investito del procedimento civile promosso dalla Corticella Molini Pastifici spa nei confronti dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (d’ora in avanti INPS) e dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (d’ora in avanti INAIL).

La società ricorrente – prosegue il Tribunale rimettente – aveva stipulato con la Società cooperativa MP Service un contratto d’appalto per lo svolgimento di diverse attività inerenti alla gestione del suo stabilimento situato a Bologna e, in seguito a un accertamento ispettivo svoltosi fra il 24 novembre 2009 e il 18 gennaio 2010 ed afferente al periodo lavorativo compreso tra il 1° maggio 2008 e il 30 novembre 2009, era emerso che la società appaltatrice aveva impiegato personale dipendente in assenza di un regolare contratto di assunzione, omettendo il versamento dei relativi contributi.

In particolare, dall’accertamento compiuto, erano «emerse omissioni contributive per euro 2.253,00 per l’impiego di personale non in regola, aumentati di euro 45.000,00 a titolo di sanzione, ex art. 116, comma 8 e ss., della legge n. 388/00 e 36-bis D.L. n. 233/06 nonché omessi versamenti in relazione a quanto dichiarato nei DM 10 per euro 136.942,00».

A causa di ciò, la società ricorrente aveva ricevuto, in data 29 gennaio 2010, la notificazione di un verbale di obbligazione solidale che, in forza dell’art. 29 del d.lgs. n. 276 del 2003, come modificato dall’art. 1, comma 911, della legge n. 296 del 2006, le aveva intimato di provvedere entro trenta giorni al pagamento delle somme dovute dalla società appaltatrice, responsabile dell’omissione contributiva.

Successivamente, con nota del 1° settembre 2010, anche l’INAIL aveva contestato alla ricorrente «l’omesso versamento dei premi in relazione ai lavoratori presuntivamente impiegati “in nero” da MP Service per euro 460,52 e la debenza della connessa sanzione di euro 45.000,00 ex art. 36-bis citato».

 

1.1.– Il Tribunale rimettente ricorda come la giurisprudenza della Corte di cassazione abbia ritenuto che le somme aggiuntive dovute dal contribuente in caso di omesso versamento dei contributi previdenziali costituiscono sanzioni civili e non amministrative, avendo la funzione, da un lato, di rafforzare l’obbligo contributivo, dall’altro, di predeterminare il danno cagionato all’ente previdenziale dal suo inadempimento (Cass. civ., sez. lav., 19 giugno 2009, n. 14475). Perciò, nell’ipotesi di inadempimento dell’appaltatore e di responsabilità solidale del committente, le obbligazioni del secondo dovrebbero intendersi riferite «sia ai contributi (credito per capitale) sia alle somme aggiuntive (credito per sanzioni civili)».

Il quadro normativo di riferimento è stato però modificato dall’art. 21 del d.l. n. 5 del 2012, secondo il quale dalla responsabilità solidale del committente resta escluso qualsiasi obbligo per sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell’inadempimento e, in conseguenza di questa modificazione, il Tribunale rimettente dubita della legittimità costituzionale dell’art. 29, comma 2, del d.lgs. n. 276 del 2003, per violazione dell’art. 3 Cost., in quanto «il regime della responsabilità solidale del committente in materia previdenziale resta soggetto a due diverse discipline a seconda della data in cui si viene a collocare l’inadempimento dell’appaltatore».

La medesima situazione giuridica, quindi, è disciplinata diversamente «senza alcuna giustificazione apparente, che non sia la mera casualità nella quale si colloca la data dell’inadempimento»: «se l’inadempimento si colloca prima dell’entrata in vigore del nuovo testo dell’art. 29, comma 2, [infatti], il committente deve rispondere, come nel caso di specie, anche del debito per le sanzioni civili; mentre, in caso contrario, il medesimo committente è tenuto a versare, in via solidale, soltanto l’importo dei contributi».

Inadempimenti del medesimo importo – conclude il giudice a quo – «avrebbero un’incidenza economica a carico delle imprese committenti ben diversa e difficilmente giustificabile sotto il profilo della ragionevolezza».

Un ulteriore profilo di irragionevolezza, secondo l’ordinanza di rimessione, sarebbe da ravvisare nella circostanza che «la nuova normativa esprime il principio che, in materia contributiva, le conseguenze sanzionatorie e risarcitorie previste in caso di inadempimento restano a carico del soggetto-datore di lavoro cui può essere soggettivamente imputato l’inadempimento per non avere provveduto al tempestivo pagamento dei contributi». In tal modo, si è modificata «la natura giuridica del debito per sanzioni civili», che non è più posto «automaticamente a carico del committente, cioè di un soggetto al quale non può essere materialmente imputato l’inadempimento».

 

1.2.– Il Tribunale rimettente ritiene non manifestamente infondata, sempre in riferimento all’art. 3 Cost., anche la questione di legittimità costituzionale dell’art. 36-bis, comma 7, lettera a), del d.l. n. 223 del 2006, che ha modificato l’art. 3, comma 3, del d.l. n. 12 del 2002, «introducendo, nel caso di impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria, una sanzione civile, connessa all’omesso versamento dei contributi e premi riferita a ciascun lavoratore non inferiore ad euro 3.000,00 indipendentemente dalla durata della prestazione lavorativa accertata (c.d. maxi sanzione per lavoro nero)».

L’irragionevolezza della norma censurata – che introduce una sanzione «sproporzionata alla gravità complessiva dell’inadempimento, eccessiva, irragionevole e ingiustamente vessatoria nei confronti del datore di lavoro» – risulterebbe con evidenza dalla circostanza che la modifica successivamente introdotta dall’art. 4 della legge n. 183 del 2010 «ha abolito la soglia minima per le sanzioni di euro 3.000,00 per ciascun lavoratore occupato in nero» e ha «ripristinato la normativa prevista dall’art. 116, comma 8, lettera b) della legge n. 388/2000, che prevede l’applicazione, in ragione d’anno, della sanzione civile del 30% all’ammontare contributivo evaso, maggiorato del 50%». Tuttavia, poiché nel caso di specie il comportamento illecito dell’appaltatore è cessato il 12 gennaio 2009 e gli accertamenti ispettivi sono stati compiuti in epoca antecedente, la nuova normativa, entrata in vigore il 24 novembre 2010, non sarebbe applicabile.

Ciò dimostrerebbe, ad avviso del giudice a quo, «l’irragionevolezza complessiva così venutasi a creare nell’ordinamento», in quanto nelle ipotesi di impiego di lavoratori non risultanti da scritture o da altra documentazione obbligatoria, poste in essere o accertate nel vigore della precedente disciplina, «continua a trovare applicazione una sanzione determinata sulla base di una soglia minima, particolarmente afflittiva e, come dimostra il caso concreto, del tutto sproporzionata alla gravità dell’inadempimento», mentre lo stesso legislatore ha successivamente realizzato «un sistema caratterizzato, allo stesso tempo, da efficacia dissuasiva e da maggiore equità perché la determinazione della sanzione resta comunque agganciata alla gravità dell’inadempimento».

La questione sollevata sarebbe inoltre rilevante nel giudizio a quo, perchè «la responsabilità solidale del committente comprende le somme dovute per contributi e per sanzioni civili», e, di conseguenza, «la società ricorrente è tenuta, altresì, al pagamento anche della c.d. “maxi sanzione” per il lavoro nero». In caso di applicazione della disciplina introdotta nel 2010, invece, «l’importo delle somme aggiuntive da euro 90.000,00 (euro 45.000,00 richiesti da ciascun istituto previdenziale) si attesterebbe sulla minore cifra di euro 1.221,09».

 

2.– È intervenuto nel giudizio di legittimità costituzionale, con memoria depositata il 22 gennaio 2013, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che la questione sia dichiarata manifestamente infondata.

Ad avviso della difesa dello Stato, rientra nella discrezionalità del legislatore «disciplinare in modo diverso gli stessi oggetti, in momenti diversi nel tempo». La circostanza che il regime della responsabilità del committente in materia previdenziale resti soggetto a due diverse discipline, a seconda della data in cui si viene a collocare l’inadempimento dell’appaltatore, quindi, non integrerebbe violazione dell’art. 3 Cost., in quanto si tratterebbe «semplicemente degli effetti normali o addirittura necessari della successione delle leggi nel tempo».

Peraltro, secondo la giurisprudenza costituzionale, non contrasta con il principio di uguaglianza un trattamento differenziato applicato in momenti successivi, perché lo stesso fluire del tempo costituisce di per sé un elemento diversificatore in rapporto alle situazioni che nel tempo si vanno svolgendo.

 

3.– Nel giudizio di costituzionalità è intervenuto, con memoria depositata il 21 gennaio 2013, anche l’INPS, in persona del Presidente pro-tempore, in proprio e quale procuratore speciale della Società di cartolarizzazione dei crediti INPS, S.C.C.I. spa, che ha concluso per la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 29, comma 2, del d.lgs. n. 276 del 2003.

L’INPS rileva che la norma censurata pone un vincolo solidale tra committente e appaltatore relativo al debito retributivo e contributivo concernente i lavoratori impiegati nell’appalto, e che questo vincolo, essendo posto nell’esclusivo interesse di uno dei debitori, cioè dell’appaltatore, comporta che l’obbligato in solido sia «tenuto all’adempimento dell’obbligazione, ma sullo stesso non grava il debito, potendo recuperare interamente quanto pagato agendo nei confronti del debitore principale».

Inoltre, prosegue l’INPS, non vi sarebbe «disparità di trattamento fra due situazioni analoghe, cioè fra la fattispecie che si è verificata antecedente[mente] e quella successivamente alla riforma dell’art. 29, comma 2, dlgs 276/2003 per effetto della l. 35/2012, essendo ciascuna delle dette specie regolata da una propria disciplina, già in vigore prima della stipula del relativo contratto d’appalto da cui scaturisce», di cui il committente ben avrebbe potuto tener conto al momento della conclusione del contratto.

Peraltro, è pacifico nella giurisprudenza costituzionale che il principio di uguaglianza non risulta violato dal succedersi nel tempo di discipline differenziate.

Rispetto alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 36-bis, comma 7, lettera a), del d.l. n. 223 del 2006, la difesa dell’INPS ha concluso per la sua irrilevanza nel giudizio a quo, nel quale «si discute dell’obbligo solidale del committente che non è il datore di lavoro (che è l’obbligato principale)». Sul committente, in particolare, non graverebbe il peso delle sanzioni, ma solamente l’obbligo di pagarle ai fini dell’adempimento dell’altrui obbligazione contributiva: «qualunque sia l’importo pagato a titolo di sanzioni, egli potrà rivalersi nei confronti dell’obbligato principale».

Con una successiva memoria, l’INPS ha ribadito le proprie deduzioni difensive, sostenendo che la questione di legittimità costituzionale dell’art. 29, comma 2, del d.lgs. n. 276 del 2003, è inammissibile perché irrilevante. Nel giudizio a quo, infatti, si fa questione dell’obbligo di pagamento dei contributi e delle sanzioni da parte non dell’appaltatore-datore di lavoro, bensì del committente. Tuttavia questo è un mero obbligato solidale insieme con l’appaltatore-datore di lavoro, che è il debitore principale nei cui confronti il committente può rivalersi.

La questione, inoltre, sarebbe manifestamente infondata, in quanto la legge n. 35 del 2012 ha modificato un solo aspetto del contratto di appalto di opere e servizi, relativo a un obbligo accessorio, ossia all’obbligo solidale avente ad oggetto il pagamento dei contributi e delle sanzioni nei confronti degli enti previdenziali.

Il committente «quando stipula il contratto di appalto, conosce o potrebbe conoscere la portata del proprio obbligo accessorio (nei confronti dell’ente previdenziale)» e può valutare la convenienza del contratto, eventualmente prevedendo, nell’esercizio dell’autonomia privata, «un controbilanciamento della [sua] posizione».

Anche la questione di legittimità costituzionale dell’art. 36-bis, comma 7, lettera a), del d.l. n. 223 del 2006, sarebbe irrilevante.

In primo luogo, perché l’appaltatore, cioè l’«obbligato principale al pagamento delle sanzioni […] non è parte del giudizio in cui è stata sollevata la questione»; in secondo luogo perché «non è stato evidenziato, nell’ordinanza di rimessione, che se nella specie si fosse applicato il criterio di computo delle sanzioni di cui all’art. 4, comma 1, l. 183/2010, che ha modificato l’art. 3, d.l. 12/2002, conv. con modificazioni nella l. 73/2002, l’importo delle sanzioni civili dovute dal datore di lavoro sarebbe stato inferiore a quello preteso ora dall’INPS».

La questione sarebbe, altresì, manifestamente infondata, in quanto, essendo radicalmente diverse le modalità di calcolo delle sanzioni civili previste nella precedente e nella nuova disposizione normativa, «non si può giungere alla conclusione che in astratto sia più favorevole l’uno anziché l’altro sistema».

 

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale di Bologna ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 29, comma 2, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30), come modificato dall’art. 1, comma 911, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), «nella parte in cui prevede che la responsabilità solidale dell’appaltante, in caso di omesso versamento da parte dell’appaltatore dei contributi previdenziali, comprenda anche il debito per le sanzioni civili o somme aggiuntive».

La questione è stata sollevata in relazione all’art. 21 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 4 aprile 2012, n. 35, che ha limitato la responsabilità solidale del committente, escludendo espressamente che essa si estenda alle sanzioni civili e alle somme aggiuntive.

La norma censurata sarebbe in contrasto con l’art. 3 Cost. sotto il profilo della disparità di trattamento, in quanto «il regime della responsabilità solidale del committente in materia previdenziale rest[erebbe] soggetto a due diverse discipline a seconda della data in cui si viene a collocare l’inadempimento dell’appaltatore».

Il giudice a quo ha censurato, altresì, l’art. 36-bis, comma 7, lettera a), del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonchè interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 4 agosto 2006, n. 248, che ha modificato l’art. 3, comma 3, del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12 (Disposizioni urgenti per il completamento delle operazioni di emersione di attività detenute all’estero e di lavoro irregolare), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 aprile 2002, n. 73, in relazione all’art. 4, comma 1, lettera a), della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro), «nella parte in cui ha previsto, nel caso di impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria, una sanzione civile, connessa all’omesso versamento dei contributi e premi riferita a ciascun lavoratore non inferiore ad euro 3.000,00 indipendentemente dalla durata della prestazione lavorativa accertata».

Anche in tal caso la questione sarebbe non manifestamente infondata con riferimento all’art. 3 Cost., in quanto la norma censurata introdurrebbe una sanzione «sproporzionata alla gravità complessiva dell’inadempimento, eccessiva, irragionevole e ingiustamente vessatoria nei confronti del datore di lavoro».

«L’irragionevolezza complessiva così venutasi a creare nell’ordinamento» risulterebbe con evidenza dalla circostanza che la modifica introdotta dall’art. 4 della legge n. 183 del 2010 «ha abolito la soglia minima per le sanzioni di euro 3.000,00 per ciascun lavoratore occupato in nero» e ha «ripristinato la normativa prevista dall’art. 116, comma 8, lettera b) della legge n. 388/2000, che prevede l’applicazione, in ragione d’anno, della sanzione civile del 30% all’ammontare contributivo evaso, maggiorato del 50%».

 

2.– Per entrambe le questioni la difesa dell’INPS ha formulato eccezioni di inammissibilità prive di fondamento.

 

2.1.– Secondo l’Ente previdenziale, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 29, comma 2, del d.lgs. n. 276 del 2003, sarebbe inammissibile perché irrilevante, in quanto nel giudizio a quo si fa questione dell’obbligo di pagamento dei contributi e delle sanzioni non da parte dell’appaltatore, bensì del committente, il quale è un mero obbligato solidale insieme con l’appaltatore, che è il debitore principale dell’obbligazione contributiva.

Il vincolo solidale sarebbe previsto nell’esclusivo interesse dell’appaltatore, su cui grava, e continua a gravare, a seguito della novella legislativa del 2012, il peso dell’obbligazione e nei cui confronti il committente che abbia pagato può rivalersi. Sarebbe mutato, quindi, solamente l’oggetto del vincolo solidale, ma non il soggetto debitore, che è pur sempre l’appaltatore, il quale deve sopportare per intero il peso dell’obbligazione.

L’eccezione è infondata, perché ciò che contesta il giudice rimettente è proprio la disciplina dell’obbligazione solidale gravante sul committente e, in particolare, la sua estensione alle sanzioni civili, in caso di omesso pagamento dell’obbligazione contributiva da parte del debitore principale, ossia dell’appaltatore. È pertanto irrilevante la circostanza che il committente sia un mero obbligato in solido e possa rivalersi nei confronti dell’appaltatore di quanto versato agli enti previdenziali: ciò non esclude infatti che, quale obbligato solidale, il committente possa essere chiamato da tali enti al pagamento degli importi dovuti dal datore di lavoro e non pagati.

 

2.2.– Ad avviso dell’INPS, anche la questione di legittimità costituzionale dell’art. 36-bis, comma 7, lettera a), del d.l. n. 223 del 2006, sarebbe irrilevante, perché l’«obbligato principale al pagamento delle sanzioni (e su cui grava pertanto definitivamente il relativo peso) è il datore di lavoro (id est: appaltatore) che non è parte del giudizio in cui è stata sollevata la questione».

L’eccezione è priva di fondamento, perché, trattandosi di appalto di opere e servizi e di lavoratori impiegati per la sua esecuzione, il committente, che è parte del giudizio a quo, è obbligato in solido con l’appaltatore al pagamento anche delle sanzioni civili, almeno secondo l’interpretazione da cui muove il giudice rimettente, ed è pertanto irrilevante la circostanza che l’appaltatore non sia parte di tale giudizio.

Secondo l’INPS, la questione sarebbe priva di rilevanza anche perché «non è stato evidenziato, nell’ordinanza di rimessione, che se nella specie si fosse applicato il criterio di computo delle sanzioni di cui all’art. 4, comma 1, l. 183/2010, che ha modificato l’art. 3, d.l. 12/2002, conv. con modificazioni nella l. 73/2002, l’importo delle sanzioni civili dovute dal datore di lavoro sarebbe stato inferiore a quello preteso ora dall’INPS».

Pure questa eccezione è priva di fondamento, in quanto, contrariamente a quanto dedotto dall’Ente previdenziale, il giudice rimettente denuncia la diversa incidenza economica che avrebbero, a carico delle imprese, inadempimenti del medesimo importo, rilevando come, in caso di applicazione della disciplina introdotta nel 2010, «l’importo delle somme aggiuntive da euro 90.000,00 (euro 45.000,00 richiesti da ciascun istituto previdenziale) si attesterebbe sulla minore cifra di euro 1.221,09».

 

3.– Nel merito, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 29, comma 2, del d.lgs. n. 276 del 2003, modificato dall’art. 1, comma 911, della legge n. 296 del 2006, non è fondata.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, non contrasta, di per sé, con il principio di eguaglianza un trattamento differenziato applicato alle stesse fattispecie, ma in momenti diversi nel tempo, poiché il fluire del tempo può costituire un valido elemento di diversificazione delle situazioni giuridiche (ordinanze n. 25 del 2012, n. 224 del 2011, n. 61 del 2010, n. 170 del 2009, n. 212 e n. 77 del 2008).

La circostanza che, quindi, la nuova disciplina in tema di responsabilità solidale del committente e dell’appaltatore, dettata dall’art. 21 del d.l. n. 5 del 2012, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 35 del 2012, si applichi agli inadempimenti contributivi avvenuti dopo la sua entrata in vigore, essendo conseguenza dei principi generali in tema di successione di leggi nel tempo, non può ritenersi di per sé lesiva del parametro costituzionale evocato.

 

4.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 36-bis, comma 7, lettera a), del d.l. n. 223 del 2006, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 248 del 2006, invece, è fondata.

 

4.1.– È opportuna una breve ricognizione del quadro normativo di riferimento.

La disciplina delle sanzioni civili connesse all’evasione dei contributi e dei premi è dettata dall’art. 116 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001), che, nel prevedere «Misure per favorire l’emersione del lavoro irregolare», al comma 8, stabilisce: «I soggetti che non provvedono entro il termine stabilito al pagamento dei contributi o premi dovuti alle gestioni previdenziali ed assistenziali, ovvero vi provvedono in misura inferiore a quella dovuta, sono tenuti: – a) nel caso di mancato o ritardato pagamento di contributi o premi, il cui ammontare è rilevabile dalle denunce e/o registrazioni obbligatorie, al pagamento di una sanzione civile, in ragione d’anno, pari al tasso ufficiale di riferimento maggiorato di 5,5 punti; la sanzione civile non può essere superiore al 40 per cento dell’importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge; – b) in caso di evasione connessa a registrazioni o denunce obbligatorie omesse o non conformi al vero, cioè nel caso in cui il datore di lavoro, con l’intenzione specifica di non versare i contributi o premi, occulta rapporti di lavoro in essere ovvero le retribuzioni erogate, al pagamento di una sanzione civile, in ragione d’anno, pari al 30 per cento; la sanzione civile non può essere superiore al 60 per cento dell’importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge. Qualora la denuncia della situazione debitoria sia effettuata spontaneamente prima di contestazioni o richieste da parte degli enti impositori e comunque entro dodici mesi dal termine stabilito per il pagamento dei contributi o premi e sempreché il versamento dei contributi o premi sia effettuato entro trenta giorni dalla denuncia stessa, i soggetti sono tenuti al pagamento di una sanzione civile, in ragione d’anno, pari al tasso ufficiale di riferimento maggiorato di 5,5 punti; la sanzione civile non può essere superiore al 40 per cento dell’importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge».

L’art. 36-bis, comma 7, lettera a), del d.l. n. 223 del 2006, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 248 del 2006, che ha modificato l’art. 3, comma 3, del d.l. n. 12 del 2002, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 73 del 2002, ha fortemente inciso sul meccanismo di commisurazione delle sanzioni civili, stabilendo che «L’importo delle sanzioni civili connesse all’omesso versamento dei contributi e premi riferiti a ciascun lavoratore […] non può essere inferiore a euro 3.000, indipendentemente dalla durata della prestazione lavorativa accertata».

Il legislatore del 2006, per rendere più rigorosa la disciplina sanzionatoria del lavoro non risultante dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria, ha così introdotto, per le sanzioni civili di cui all’art. 116, comma 8, della legge n. 388 del 2000, una soglia minima di 3.000 euro per ogni lavoratore, nell’ipotesi in cui la loro quantificazione risulti inferiore.

Successivamente, la legge n. 183 del 2010 ha nuovamente modificato la misura delle sanzioni civili applicabili in caso di impiego di tali lavoratori e ha eliminato il tetto minimo di 3.000 euro, prevedendo unicamente un aumento del 50 per cento delle sanzioni determinate sulla scorta del criterio stabilito dall’art. 116, comma 8, della legge n. 388 del 2000.

Pertanto, le sanzioni civili sono oggi calcolate nella misura del 30 per cento in ragione d’anno della contribuzione evasa, fino ad un massimo del 60 per cento dell’importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge, come previsto dall’art. 116, comma 8, lettera b), della legge n. 388 del 2010, e l’importo così determinato è maggiorato del 50 per cento.

 

4.2.– Come si è visto, la norma censurata, nel modificare il sistema di quantificazione delle sanzioni civili connesse all’omesso versamento dei contributi e dei premi, ha introdotto una soglia minima, riferita a ciascun lavoratore e indipendente dalla durata della prestazione lavorativa accertata. Così l’importo minimo della sanzione civile introdotto dall’art. 36-bis, comma 7, lettera a), del d.l. n. 223 del 2006, prescindendo dalla durata effettiva del rapporto di lavoro, è ancorato unicamente al numero di «lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria».

In tal modo, però, la sanzione può risultare del tutto sproporzionata rispetto alla gravità dell’inadempimento del datore di lavoro e incoerente con la sua natura, se si considera che, secondo la costante giurisprudenza della Corte di cassazione, l’obbligo relativo alle somme aggiuntive che il datore di lavoro è tenuto a versare in caso di omesso o ritardato pagamento dei contributi assicurativi ha natura di sanzione civile e non amministrativa, costituendo una conseguenza automatica dell’inadempimento o del ritardo, che è posta allo scopo di rafforzare l’obbligazione contributiva e risarcire, in misura predeterminata dalla legge, con una presunzione iuris et de iure, il danno cagionato all’istituto assicuratore (ex multis, Cass. civ., sez. lav., 19 giugno 2009, n. 14475; Cass. civ., sez. lav., 1 agosto 2008, n. 24358; Cass. civ., sez. lav., 19 giugno 2000, n. 8323. In tal senso, si veda anche la circolare n. 38 del 2010 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali).

In altri termini, poiché le sanzioni civili connesse all’omesso versamento di contributi e premi hanno una funzione essenzialmente risarcitoria, essendo volte a quantificare, in via preventiva e forfettaria, il danno subito dall’ente previdenziale, la previsione di una soglia minima disancorata dalla durata della prestazione lavorativa accertata, dalla quale dipende l’entità dell’inadempimento contributivo e del relativo danno, è irragionevole.

Il legislatore infatti, con la norma impugnata, ha predeterminato in via presuntiva il danno subito dall’ente previdenziale a causa dell’omissione contributiva, ma nel far ciò ha escluso la rilevanza di uno degli elementi che concorrono a cagionare quel danno, costituito dalla durata dei rapporti di lavoro non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria e dal correlativo inadempimento dell’obbligo contributivo.

In tal modo, però, la sanzione risulta arbitraria e irragionevole, perché, pur avendo la funzione di «risarcire, in misura predeterminata dalla legge, con una presunzione “iuris et de iure”, il danno cagionato all’Istituto assicuratore» (Cass. civ., sez. lav., 19 giugno 2000, n. 8323; Cass. civ., sez. lav., 8 marzo 1995, n. 2689), è stabilita con un criterio privo di riferimento all’entità di tale danno, dipendente dalla durata del periodo in cui i rapporti di lavoro in questione si sono protratti.

L’irragionevolezza della sanzione appare evidente nel caso oggetto del giudizio a quo, in cui si è verificata, nel periodo compreso tra il 1° maggio 2008 e il 30 novembre 2009, oggetto di accertamento ispettivo da parte dell’INPS, l’assunzione, in tempi diversi, di dodici lavoratori per brevi periodi, da un minimo, nella maggior parte dei casi, di tre giorni a un massimo, in un solo caso, di venti giorni. Perciò, come risulta dall’ordinanza di rimessione, «un inadempimento contributivo nei confronti dell’INPS pari ad euro 2.253,00 ha dato luogo all’applicazione di una sanzione civile di euro 45.000,00; e, addirittura, l’inadempimento nei confronti dell’INAIL di soli euro 450,62 ha, analogamente, comportato la sanzione civile di euro 45.000,00».

In conclusione, l’art. 36-bis, comma 7, lettera a), del d.l. n. 223 del 2006, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 248 del 2006, nella parte relativa alla sanzione civile, risulta, per la denunciata irragionevolezza, in contrasto con l’art. 3 Cost.

 

5.– Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 36-bis, comma 7, lettera a), del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 4 agosto 2006, n. 248, che ha modificato l’art. 3, comma 3, del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12 (Disposizioni urgenti per il completamento delle operazioni di emersione di attività detenute all’estero e di lavoro irregolare), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 aprile 2002, n. 73, nella parte in cui stabilisce: «L’importo delle sanzioni civili connesse all’omesso versamento dei contributi e premi riferiti a ciascun lavoratore di cui al periodo precedente non può essere inferiore a euro 3.000, indipendentemente dalla durata della prestazione lavorativa accertata».

 

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 36-bis, comma 7, lettera a), del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonchè interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 4 agosto 2006, n. 248, che ha modificato l’art. 3, comma 3, del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12 (Disposizioni urgenti per il completamento delle operazioni di emersione di attività detenute all’estero e di lavoro irregolare), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge del 23 aprile 2002, n. 73, nella parte in cui stabilisce: «L’importo delle sanzioni civili connesse all’omesso versamento dei contributi e premi riferiti a ciascun lavoratore di cui al periodo precedente non può essere inferiore a euro 3.000, indipendentemente dalla durata della prestazione lavorativa accertata»;

 

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 29, comma 2, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30), come modificato dall’art. 1, comma 911, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Bologna, sezione lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 novembre 2014.

 

F.to:

 

Paolo Maria NAPOLITANO, Presidente

 

Giorgio LATTANZI, Redattore

 

Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

 

Depositata in Cancelleria il 13 novembre 2014.

 

Il Direttore della Cancelleria

 

F.to: Gabriella Paola MELATTI

La Redazione

Autore: La Redazione

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