Consulta: emersione rapporti di lavoro – limite reddituale del datore
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 209 del 24 novembre 2023, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 103, commi 5 e 6, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2020, n. 77, sollevata, in riferimento agli artt. 10, secondo comma, e 76 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per l’Umbria, sezione prima.
Si tratta della possibilità concessa ai datori di lavoro di presentare domanda per concludere un contratto di lavoro subordinato con cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale ovvero per dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro irregolare, tuttora in corso, con cittadini italiani o cittadini stranieri, soggiornanti in Italia prima dell’8 marzo 2020 e che non abbiano lasciato il territorio nazionale dopo quella data.
Non è ravvisabile alcuna intrinseca contraddittorietà tra la complessiva finalità perseguita dal legislatore – che attiene «tanto alla tutela del singolo lavoratore quanto alla funzionalità del mercato del lavoro in un contesto d’inedita difficoltà» (sentenza n. 149 del 2023) – e la norma censurata, la quale dunque non lede il principio di ragionevolezza.
In particolare, la previsione di un reddito minimo del datore di lavoro, inoltre, assolve alla funzione di prevenire elusioni del sistema di emersione del lavoro irregolare, assicurando la sostenibilità del costo del lavoro per garantire il rispetto dei diritti del lavoratore sotto il profilo retributivo e contributivo, nonché per evitare domande strumentali alla regolarizzazione di rapporti lavorativi “fittizi”, volti solamente a far conseguire allo straniero un titolo di soggiorno. Non deve trascurarsi, infatti, che l’emersione del lavoro “nero”, nel caso di cittadini stranieri, si intreccia alla regolarizzazione della loro presenza in Italia, come chiarito nella recente sentenza n. 149 del 2023.
Fonte: Corte Costituzionale