Min. Lavoro: interpello 6/2011 – Scambio di manodopera tra coltivatori diretti e coloni-mezzadri

La Direzione Generale per l’Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con interpello n. 6 del 3 marzo 2011, ha risposto ad un quesito della Copagri (Confederazione Produttori Agricoli), in merito alla possibilità di effettuare scambio di manodopera tra coltivatori diretti e coloni-mezzadri che abbiano o meno la qualifica di imprenditore agricolo professionale ex art. 1 D.L.vo n. 99/2004.

La risposta in sintesi:

[su_quote]”…Quanto allo scambio di manodopera tra coltivatori diretti la risposta al quesito è senz’altro positiva, in quanto già chiarita dalla normativa; occorre tuttavia verificare la sussistenza della qualità di “piccolo imprenditore agricolo” anche con riguardo ai coloni e mezzadri, per i contratti ancora in essere ex L. n. 756/1964 e L. n. 203/1982.

Sul punto si richiama anzitutto quanto già chiarito in passato da questo Ministero con circolare 24 aprile 1950 n. 14212 secondo cui: “i piccoli imprenditori coltivatori diretti sono, di massima, gli agricoltori che esercitano le imprese prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della propria famiglia (art. 2083) e che ricorrono al lavoro di estranei soltanto per un molto limitato numero di unità, procurandoselo con lo scambio di prestazioni dei vicini piccoli imprenditori proprietari, affittuari o mezzadri”.

Fermo restando quanto sopra, con riguardo ai contratti di mezzadria e di colonia parziaria, è possibile riconoscere la qualifica di piccolo imprenditore in capo al mezzadro, che lavora insieme alla famiglia colonica e al colono, sulla base del disposto di cui all’art. 2083 c.c., atteso che la norma riconosce tale qualifica nei confronti di “coloro che esercitano un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia”. La figura del mezzadro e, similmente, del colono è una figura particolare tipizzata nel codice civile che si colloca a metà tra l’imprenditore e il lavoratore dipendente: con riguardo alla prima caratteristica si evidenzia lo svolgimento dell’attività “in associazione al concedente”, per realizzare la divisione dei prodotti e degli utili (per la colonia v. art. 2164 c.c.), l’assunzione in proprio delle obbligazioni e la responsabilità patrimoniale personale per le medesime (per la mezzadria, v. art. 2150 c.c.) come la possibilità di acquisire a proprie spese la manodopera necessaria (v. art. 2147, comma 2, c.c.; art. 2169 c.c.); d’altro lato, sia il mezzadro che il colono prestano il loro lavoro sotto le direttive del concedente (v. art. 2147, comma 1, c.c.; art. 2167, comma 1, c.c.). Come è noto, l’attività in cui si concretizza l’esercizio dell’impresa, descritta dall’art. 2082 c.c. al fine dell’individuazione della figura soggettiva dell’imprenditore, viene caratterizzata dalla professionalità, dall’organizzazione, dal carattere dell’economicità, dalla funzione volta alla produzione o allo scambio di beni e di servizi. La professionalità richiede una abitualità dell’attività produttiva, pur non richiedendosi né che si tratti di attività esclusiva (cfr. Cass. sent. n. 6395/1981), né lo svolgimento continuativo, comprendendosi nell’attività imprenditoriale anche l’esercizio stagionale, purché mostri stabilità (Cass. sent. n. 1051/1968).

Il requisito della organizzazione, richiamato nel concetto di piccolo imprenditore, quale attività professionale “organizzata” prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia, si pone in rilievo in rapporto al lavoro ed ai fattori produttivi (capitale e lavoro), ove il lavoro personale e familiare prevale sul lavoro altrui e sul capitale. L’economicità, secondo l’orientamento giurisprudenziale più recente, non deve essere identificata con un elemento soggettivo quale l’intendimento di perseguire un lucro, assumendo, invece, un rilievo oggettivo ed identificandosi con il metodo economico di gestione (la copertura dei costi con i ricavi), con l’obiettiva idoneità dell’attività a produrre un profitto (Cass. n. 4912/1987), indipendentemente dal fatto che il profitto sia realmente conseguito ovvero sia destinato a fini lucrativi o altruistici. Vi è da aggiungere, inoltre, che le figure dei mezzadri e dei coloni sono state equiparate – da un punto di vista previdenziale – ai lavoratori autonomi, nella specie coltivatori diretti, in quanto iscritti alla medesima gestione speciale pensionistica presso l’INPS (v. L. n. 1047/1957).

Alla luce di quanto sopra, nonostante le peculiarità che connotano tali figure professionali, si può affermare che le medesime possono farsi rientrare nel concetto di “piccoli imprenditori agricoli” ammettendo conseguentemente anche in tal caso lo scambio di manodopera ex art. 2139 c.c. Per quanto concerne la questione legata al riconoscimento di “piccolo imprenditore” per la figura dello IAP, la questione presenta non pochi profili di complessità laddove la fonte generatrice della figura non nasce da una norma codicistica. Al riguardo, si ritiene che la figura dello IAP possa farsi rientrare nella nozione di piccolo imprenditore, ai sensi dell’art. 2083 c.c., solo dove ne risulti evidente il possesso dei requisiti. Più in particolare si ricorda che rientrano tra i piccoli imprenditori coloro che esercitano un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia. Pertanto, la partecipazione personale del titolare e dei suoi familiari va individuata comunque quale elemento discriminante della fattispecie.

Venendo ora alle caratteristiche per qualificare lo IAP, queste sono riconducibili a: – possesso di conoscenze e competenze professionali; – dedichi alle attività agricole almeno il 50% del proprio tempo di lavoro complessivo; – ricavi dalle attività medesime almeno il 50% del proprio reddito globale da lavoro. Mentre quindi per il coltivatore diretto è pacifica la riconducibilità a piccolo imprenditore, altrettanto non vale in via generale per lo IAP (ammesso oltretutto che si tratti di persona fisica e non giuridica). La possibilità quindi per lo IAP di rientrare nelle previsioni di cui all’art. 2139 c.c., escluso che possa rientrarvi per espressa previsione come invece il coltivatore diretto, è legata alla sussistenza dei requisiti previsti dalla seconda parte dell’art. 2083 c.c.. Per quanto detto, pur non potendo escludere in assoluto la riconducibilità dello IAP ai termini di cui all’art. 2083 e quindi conseguentemente alle previsioni di cui all’art. 2139 c.c., la valutazione dovrà essere effettuata caso per caso avuta contezza del requisito della misura della partecipazione all’attività dei componenti del nucleo familiare.”[/su_quote]

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Autore: La Redazione

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